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Partito Comunista Italiano marxista-leninista - Piattaforma Comunista
Collettivo Aurora
Lotta e Unità
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(nuovo) Partito Comunista Italiano
Riscossa Proletaria per il comunismo
Fronte Popolare
Laboratorio Comunista Casamatta


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domenica 26 ottobre 2014

Risposta del Collettivo Aurora al compagno Babini del P-CARC

Entriamo nel merito delle note che il compagno Babini del P-CARC ha fatto al nostro documento di presentazione del blog. Le nostre note sono in azzurro e tra parentesi tonda.
Collettivo Aurora


Paolo Babini
Partito dei CARC – Direzione Nazionale

A Unire le Forze Comuniste

Cari compagni,
il Partito dei CARC ha ricevuto il vostro appello, riportato subito qui di seguito. L'appello è rivolto a un insieme di forze, di cui pubblicate documenti. Sia l'appello sia i documenti sono stati analizzati in dettaglio, e commentati. Lo scrivere sui vari testi è, di fatto, una risposta al vostro appello, perché scrivendo sullle questioni si mette ordine nei pensieri, si distingue e (ci) si unisce. In La Voce del (nuovo)PCI,  n. 46, marzo 1945, p. 26, leggo: "Chi oggi pensa di poter costruire la rivoluzione e imparare a pensare senza scrivere, è come un muratore che vuol costruire una casa senza cemento e malta." Scrivo dunque come un muratore usa cemento e malta.
Vi inoltro l'insieme dei documenti con i commenti (Note) contrassegnati con numero progressivo e tra parentesi quadre.

Paolo Babini
Partito dei CARC - Direzione Nazionale
Firenze, 11 aprile 2014



Appello
Contribuite al dibattito: http://uniforcom.blogspot.it

Questo appello è rivolto a tutti coloro che hanno a cuore le sorti del movimento comunista, non per nostalgia o per paura dell’oblio, ma perché stanno dalla parte del popolo e riconoscono che la lotta per il comunismo è, in definitiva, l’unica strada possibile per salvare l’umanità dalla rovina in cui sta precipitando.

Nota 1
[L’appello più che “per salvare l’umanità”, ha da essere per  costruire una società nuova, e quindi per costruire una nuova umanità.
(Commento superfluo: che il capitalismo abbia creato le condizioni che rendono pericolosamente possibile la rovina del pianeta e degli esseri che vi abitano è un fatto riconosciuto non solo dagli ambientalisti ma anche da gran parte del movimento comunista. In questa frase affermiamo che la lotta per il comunismo è l’unica strada possibile: non è chiaro che il comunismo è una società nuova da costruire?)

L’umanità si salva rinnovandosi. Più volte in questa raccolta ci si richiama alla necessità del legame tra partito e masse, e tale legame si costruisce nello slancio in avanti.
Questo è un principio generale, di cui una definizione scientifica sta nel nome stesso del Partito dei CARC. Questo è infatti partito dei comitati che appoggiano la resistenza delle masse popolari, e quindi un movimento a difesa di qualcosa, ma "per il comunismo", cioè per trasformare tale resistenza in costruzione di una nuova società.
Il principio è oggettivo (non è un dogma di qualche scuola di pensiero), e infatti emerge spontaneo in dichiarazioni come la seguente: “Sono fiduciosa e spero di raccogliere non quello che viene definito il malcontento della gente, ma la voglia di partecipazione della gente” (Miriam Amato, candidata a sindaco del M5S per le amministrative del 2014 a Firenze.)]

Bando agli ottimismi di facciata e ai ridicoli trionfalismi: oggi il movimento comunista italiano e della maggior parte del mondo è in crescente crisi. Il suo destino sarà quello di sprofondare ulteriormente nell’oblio, se non interveniamo soggettivamente, con un’azione volontaria e consapevole, tempestivamente e guidati da una giusta concezione della situazione e dei suoi possibili sviluppi.

Nota 2
[Noi non siamo gli ultimi barlumi del vecchio movimento comunista, ma l’aurora del nuovo. “Ottimismi di facciata e ridicoli trionfalismi” sono tali se espressioni di chi vuole trasmettere passione senza averla e ripetere dogmi senza avere scienza. Al di là di questi, però, la fiducia nella vittoria è ingrediente fondamentale per ogni unità, sia essa entro un partito, sia tra formazioni diverse che convergono in una, sia tra il partito e le masse popolari. Nel Terzo Congresso del Partito dei CARC, nell’ottobre del 2013, abbiamo usato le parole d’ordine “osare sognare” e “osare vincere”.]
(Per ottimismo di facciata intendiamo quello adottato da chi preferisce evitare di misurare e affrontare limiti ed insuccessi e spera che infondendo fiducia a parole si riesca a superare le difficoltà e lo scoraggiamento. È un atteggiamento idealista, non materialista. Perché mai un comunista dovrebbe farsi scoraggiare dai limiti e dagli insuccessi, sapendo che essi sono inevitabili anche lungo il cammino che porta alla vittoria? Chi ha paura di cosa?
I comunisti non dovrebbero essere dei sognatori senza i piedi per terra: la constatazione dello stato attuale del movimento comunista e del suo rapporto con le masse è una questione scientifica, non una mera aspirazione per infondere ottimismo e fiducia nel futuro. Solo sulla base di un’analisi concreta della situazione concreta possiamo far fronte ai problemi del nostro sviluppo e, più in generale, della lotta di classe. Se dalla nostra attività non derivano successi significativi dobbiamo capire perché. Alcune organizzazioni formulano delle risposte a questo problema altre negano che esista. Bisogna prima di tutto riconoscerlo, altrimenti discutiamo inutilmente. Anche il P-CARC segnala che esistono problemi di sviluppo sia tra loro e le masse che al loro stesso interno. Forse prima di scambiarci accuse di eccessivo ottimismo o pessimismo sarebbe bene fare una seria e concreta valutazione dello stato dei fatti.
Nel documento del Collettivo Aurora si riportano cifre e valutazioni anche quantitative. Cosa ne pensa il P-CARC? Ha altri elementi che confutano quelle valutazioni?)

Da anni diciamo che la situazione di crisi del sistema capitalista presenta per noi comunisti una situazione favorevole, ma ancora non riusciamo a sviluppare le nostre forze. Purtroppo, ancora, ogni nostra (piccola) organizzazione pare godere di sé e della sua pochezza.
Da più parti e sempre più spesso, però, si sviluppano riflessioni sul nostro stato attuale e appelli ad unire le forze. È un buon segno ma è ancora poco: non siamo ancora nemmeno a livello di un serio dibattito, quindi per realizzare passi avanti concreti ci vorrà ancora un po’. Ma non perdiamoci d’animo.
Lo scambio di idee, concezioni ed esperienze e il dibattito costruttivo tra le varie componenti è una premessa fondamentale per la loro unità. Di pari passo può e deve procedere anche una pratica comune come banco di prova delle idee e concezioni di ciascuno e della effettiva volontà e capacità di unire le forze che sono concretamente disponibili a superare i limiti attuali e che per questo sanno liberarsi dell'opportunismo e del settarismo che ancora le caratterizza.
Con questo blog vogliamo contribuire allo sviluppo di un rapporto tra le varie componenti del movimento comunista (singoli compagni e organizzazioni) tale da favorirne l’unità per la costruzione di un partito comunista in Italia, del partito della classe operaia organizzata.
Per favorire l'avvio del dibattito abbiamo raccolto e pubblicato come post distinti sul blog una serie di documenti già prodotti da alcune delle principali organizzazioni comuniste del nostro paese. La scelta è incentrata principalmente (ma non solo) su quei documenti che trattano soprattutto il problema dell'unità (o della frammentazione) del movimento comunista.
Invitiamo tutte le organizzazioni, i gruppi e i singoli compagni ad intervenire costruttivamente nel dibattito, a segnalarci e/o inviarci ulteriori documenti adatti ad essere inseriti un questo sito e a contribuire con commenti ai documenti presenti.

Nella pagina Testi inseriremo titoli e testi digitali che riteniamo interessanti inerenti il movimento operaio, rivoluzionario, comunista. Anche per questo ambito chiediamo la collaborazione più ampia a segnalare titoli, inviare testi e digitalizzare ciò che è ancora su carta.
Se volete ricevere email in ogni occasione in cui un post viene pubblicato, inviateci la vostra email tramite il modulo Seguici tramite email. Se volete essere contattati compilate il Modulo di contatto.

Buon lavoro a tutti.



Collettivo Aurora – La crisi del sistema capitalista e la ricostruzione del partito comunista in Italia

Un appello alla trasformazione dei rapporti tra i comunisti, per l’unione delle forze e la rinascita del movimento comunista.

15 settembre 2013

Da dove veniamo?
Il secolo scorso è stato il secolo in cui le rivoluzioni socialiste e proletarie hanno cambiato radicalmente la vita dell’uomo sul pianeta.

Nota 3
[Il collettivo Aurora non indica quale differenza c'è tra rivoluzioni socialiste e rivoluzioni proletarie. “Rivoluzione proletaria” è termine che include “rivoluzione socialista” e “ rivoluzione di nuova democrazia”. Stante che finora le rivoluzioni sono state tutte di nuova democrazia, la rivoluzione socialista ancora ha da farsi(1). La questione non è terminologica. La rivoluzione socialista si fa nei paesi imperialisti, e qui la rivoluzione ancora non è stata fatta. La questione della mancata rivoluzione nei paesi imperialisti è cruciale, nel senso che se non si comprende perché il  movimento comunista internazionale non è avanzato in questo terreno nessun avanzamento è possibile, e nemmeno, soprattutto, la ricostruzione del partito che è aspirazione comune di tutte le forze a cui è stato rivolto l’appello sopra citato.]
NOTE
1. Vedi Manifesto programma del (nuovo)PCI [in http://www.nuovopci.it/scritti/mpnpci/indicmp.html, [da qui in poi MP]: “Non la rivoluzione socialista, ma la rivoluzione proletaria, combinazione di rivoluzioni di nuova democrazia e di rivoluzioni socialiste, avrebbe posto fine al modo di produzione capitalista.” (MP, ed. Rapporti Sociali, Milano, 2008, p. 42]

(Il termine rivoluzioni proletarie usato per indicare la combinazione di rivoluzione di nuova democrazia e di rivoluzione socialista non è patrimonio diffuso del movimento comunista, bensì una formulazione scelta dal (n)PCI e usata nel MP citato. Nella frase del collettivo Aurora si indicano per rivoluzioni socialiste quelle che hanno portato all’instaurazione del socialismo e per rivoluzioni proletarie quelle che non hanno portato a questo risultato (come si evince dal seguito della frase). Non siamo d’accordo sul fatto che “la rivoluzione socialista ha ancora da farsi”: la rivoluzione russa e quella cinese sono state rivoluzioni socialiste! Le rivoluzioni socialiste sono state fino ad ora caratterizzate da un primo passaggio a rivoluzioni di nuova democrazia in seguito alle quali si è poi svolta la rivoluzione socialista. Su questo punto non tutti concordano. In ogni caso sul citato MP si afferma che “La rivoluzione di nuova democrazia trapassa in rivoluzione socialista. Cioè avvenne non solo in Russia, ma in modo ancora più esemplare in Cina.” (nota 39 pag. 268). Quindi anche per il (n)PCI è sbagliato affermare che la rivoluzione socialista non c’è ancora stata. È vero invece che non c’è ancora stata in nessun paese imperialista e che questo è un problema centrale per i comunisti di questi paesi.)

Sia dove l’ordinamento sociale è diventato socialista, sia dove le rivoluzioni proletarie (di nuova democrazia, antimperialiste) hanno abbattuto i regimi reazionari, sia dove l’ordinamento sociale è rimasto quello capitalista, sia, infine, dove gli imperialisti sono riusciti a mantenere la loro oppressione coloniale, praticamente in ogni angolo della terra nulla è stato più come prima.

Nota 4
[Per il collettivo Aurora rivoluzione di nuova democrazia e rivoluzione proletaria sono lo stesso. Intende "rivoluzioni socialiste" quelle dove si è iniziata la costruzione del socialismo, probabilmente.]
(Vedi sopra.)

La lotta della classe operaia e delle masse popolari dirette dai partiti comunisti rivoluzionari ha cambiato in meglio la vita di miliardi di persone: negare questo è come affermare, oggi, che la terra è piatta.
Non vi è dubbio che l’esperienza della costruzione del socialismo e della lotta per l’emancipazione dei popoli dallo sfruttamento capitalista sia stata ricca di insegnamenti. Un’esperienza fatta di successi e di sconfitte, di cose giuste e cose sbagliate, di concezioni giuste e di concezioni sbagliate.

Nota 5
[Il collettivo Aurora non dice qui quali sono le cose giuste e quali quelle sbagliate, quali sono le concezioni giuste e quelle sbagliate. Lo dicesse, potremmo distinguere tra le varie forze comuniste cui qui si fa appello perché si riuniscano. Infatti quelle forze si differenziano per le concezioni, e le loro concezioni o sono giuste o sono sbagliate, visto che fanno affermazioni diverse sullo stesso oggetto (esempio: delle due affermazioni “la terra si muove” e “la terra è immobile” una sola è vera, e l’altra è sbagliata). Unirsi non significherà certo mettere insieme giusto e sbagliato, come in cucina non si mette insieme alimento sano e alimento marcio, che se lo si facesse il cibo sarebbe veleno.]
(Non rientra negli obiettivi di quel documento del Collettivo Aurora esporre la sua visone del mondo, ma porre un problema strettamente legato alle attuali condizioni del movimento comunista. In ogni caso è certo tema fondamentale di dibattito la concezione che caratterizza ogni componente del movimento comunista. Anche dal documento del Collettivo Aurora si evince, ad esempio, che lo stesso collettivo considera che per il bilancio del movimento comunista la rivoluzione russa e quella cinese sono rivoluzioni socialiste e che vanno annoverate tra le esperienza positive.)

In ogni caso è stata complessivamente un’esperienza positiva che ha fatto fare un gran passo in avanti all’umanità, un passo in avanti ben più ampio di qualsiasi altro passo compiuto in precedenza e ancora mai eguagliato fino ad oggi. Miliardi di individui si sono tirati fuori, ciascuno con ruoli diversi, dall’esistenza praticamente e intellettualmente quasi primitiva in cui, ancora nel XVIII secolo la classe borghese li teneva soggiogati e in pochi anni hanno compiuto un balzo in avanti che nessuno avrebbe mai immaginato.
I detrattori delle rivoluzioni proletarie non fanno altro che esaltarne i difetti (veri o presunti) e negarne i successi. Essi,  a qualsiasi classe appartengano, non fanno altro che esprimere la gioia, la paura, l’interesse della borghesia – classe  di aguzzini e sfruttatori – che se l’è vista brutta e che non è ancora tranquilla dopo il grande rischio che ha corso: scomparire come classe.
Ma come per la borghesia è stato necessario più di mezzo millennio per affermarsi come classe dirigente nel mondo, anche per il proletariato saranno necessarie più ondate successive per rivestire quel ruolo. La storia non procede in linea retta e non è nemmeno una serie di cicli indistinti che si ripetono; è piuttosto una spirale che sale ininterrottamente portando ogni anello ad un livello più alto di sviluppo.

Nota 6
[Il (nuovo)PCI afferma lo stesso. Vedi al riguardo MP, P. 87.]

Dalle rivoluzioni vittoriose molta acqua è passata sotto i ponti. La maggior parte dei partiti comunisti che le hanno condotte ha abbandonato il ruolo rivoluzionario[1] che in passato aveva indubbiamente svolto. Ma oggi, nel cuore di una crisi mondiale del sistema capitalista, di fronte alla crescente sofferenza dei popoli del pianeta, non spiccano ancora partiti e organizzazioni d’avanguardia a promuovere un nuovo e necessario sconvolgimento radicale dello stato delle cose presenti.
Sono orami passati oltre 50 anni dall’inizio “ufficiale” e dispiegato della svolta revisionista dei principali partiti comunisti del mondo, con alla loro testa il Partito Comunista dell’Unione Sovietica (PCUS). Il Partito Comunista Italiano (PCI) ha seguito anch’esso la linea revisionista che prevalse al XX congresso del PCUS (1956).
In quella fase, spinto anche dall’opposizione antirevisionista capeggiata dal Partito Comunista Cinese (PCC), anche nel nostro paese prese corpo un lavoro tanto tenace e coraggioso, quanto purtroppo ancora inconcludente, per ridare alla classe operaia un partito comunista che non seguisse la svolta revisionista, cioè un partito comunista rivoluzionario.

Nota 7
[Non condividiamo questa affermazione. Consideriamo il (nuovo)PCI un buon risultato del lavoro tenace e coraggioso di cui qui si parla, indipendentemente dalla sua grandezza(1). Il partito comunista è rivoluzionario se ha determinate caratteristiche che lo pongono in grado di costruire la rivoluzione, di estendere il legame con le masse, ecc. È rivoluzionario già a livello embrionale, come è già "uomo" o "donna" l'essere umano appena nato.
Il collettivo Aurora forse ritiene che un partito è tale solo se riconosciuto dalle grandi masse popolari. I casi sono due: o sorte all’improvviso come tale, già riconosciuto dalle grandi masse, oppure è costruito passo dopo passo, come succede in ogni attività che gli esseri umani fanno, a partire da quelle con un minimo di complessità.]
(Ogni organizzazione dell’attuale movimento comunista considera se stessa o il proprio progetto in fieri come il più significativo passo avanti nella costruzione del partito comunista. Non basta questo per fare di ogni partito o progetto di partito il necessario partito comunista. Affermare che non è ancora stato costruito un partito comunista all’altezza dei propri compiti non significa affermare che lo si vuole già grande o già riconosciuto dalle masse fin dalla sua nascita (non facciamo finta di non capire le affermazioni, altrimenti perdiamo tempo in chiacchiere). Nel documento del Collettivo Aurora si riportano esplicitamente degli elementi concreti: nei paesi imperialisti 50 anni ci separano dai primi tentativi (dopo la svolta revisionista) di dare alla classe operaia il suo partito comunista. Facciamo un’analisi concreta di quanto esistente all’oggi. Il (n)PCI è ancora sostanzialmente un pugno di compagni che pubblica una rivista ogni 4 mesi e gestisce un sito. Da qualche anno non risulta nemmeno più alcuna attività dei Compitati di Partito Per quanto utile ed indispensabile sia un pugno di compagni che propaganda una giusta concezione del mondo e una linea ben definita, non basta questo a farne un embrione di partito se dopo 10 anni dalla fondazione ufficiale e 16 anni dopo aver gettato le sue basi quel pugno di compagni resta tale. Oppure anche quando saranno passati altri 10 anni potremo continuare a dire che siamo sulla strada giusta? Qual è il limite? Quali sono i parametri con cui facciamo il bilancio dell’esperienza e correggiamo gli errori?
Sia chiaro: questo ragionamento vale per il (n)PCI come per ogni altro progetto, partito o tentativo di partito messo in  campo da ogni altra componente del movimento comunista.)

NOTE
1. “Il (n)PCI, fondato nel 2004 e che nel 2010 ha tenuto il suo I Congresso, è l’unico vero embrione di partito comunista presente in Italia, l’unico che ha assunto con chiarezza e coerenza il compito di guidare la classe operaia a fare dell'Italia un nuovo paese socialista adottando la strategia della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata (GPRdiLD) applicata ad un paese imperialista qual è il nostro e di cui la clandestinità del partito è la traduzione in termini organizzativi.” (Tesi del Terzo Congresso del Partito dei CARC, Tesi 16, novembre 2012, in http://www.carc.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1517:le-tesi-approvate-al-iii-congresso&catid=148:concezione-del-mondo&Itemid=155

In Italia, anziché “salvare” l’allora PCI dalla deriva revisionista e condurlo o riportarlo sulla via rivoluzionaria, la maggior parte dei comunisti più avanzati (o che comunque si ritenevano rivoluzionari) abbracciò la linea di fondare un nuovo partito. Già questa considerazione, così come quella del ruolo del PCC nella lotta contro il revisionismo, sono state fin dall’inizio fonte di profonde divisioni all’interno del movimento comunista.
1.       .


Nota 8
[Il problema non era se la sinistra del movimento comunista dovesse stare dentro o fuori del primo PCI, ma che quella sinistra, dentro e fuori del PCI, avesse una concezione, una linea e una strategia giuste. Che elaborasse concezioni giuste e togliesse concezioni sbagliate, per usare i termini del collettivo Aurora. Le concezioni sbagliate invece persistettero e sono riconducibili a due tendenze, cioè il dogmatismo e il movimentismo.(1)]
NOTE
1.       Utile al riguardo l’articolo Secchia, due importanti lezioni in http://www.nuovopci.it/voce/voce26/secchia.html-e
(Anche stare dentro o fuori dal PCI è una questione di linea politica, non sono questioni separate.)

Il primo tentativo di portata significativa di costruzione di un partito comunista rivoluzionario in opposizione alla deriva revisionista fu la costruzione, da parte di alcuni compagni che uscirono dal PCI, del Movimento marxista-leninista italiano che pubblicava il settimanale Nuova Unità e che nel 1966 fondò il PCd’I (m-l).
Il PCd’I (m-l), che dalla sua fondazione aveva come segretario Fosco Dinucci, ottenne nel 1968 il riconoscimento del PCC e del Partito del Lavoro d’Albania. L’Unione della gioventù comunista (m-l) era l’organizzazione giovanile del partito.
Dal 1966 in poi nel PCd’I (m-l) vi furono numerose scissioni:
-          nel 1969 da parte di Angiolo Gracci e Dino Dini (Partito Comunista d’Italia (marxista-leninista) – Linea Rossa, scioltosi nel 1991 nel PRC);
-          nel 1969 da parte dell’Organizzazione Comunista Bolscevica Italiana marxista-leninista(OCBI m-l),
-          nel 1970 da parte di Osvaldo Pesce che fonda l’Organizzazione Comunista d’Italia-marxista-leninista (OCI m-l);
-          nel 1979 da parte del gruppo raccolto attorno al quotidiano Ottobre, su posizioni più attente all’Unione Sovietica e alla sinistra del PCI;
-          nel 1980 da parte di Ubaldo Buttafava (La nostra lotta) su posizioni filo-albanesi.
Un’altra importante componente che si distaccò dal PCI fu l’Unione dei Comunisti Italiani (marxisti-leninisti) fondata nel 1968. Pubblicava Servire il Popolo e aveva a capo Brandirali. Nel 1972 si trasformò in Partito Comunista (Marxista-Leninista) Italiano. Negli anni successivi il PC(m-l)I si frantumò in seguito a numerosi scissioni.
L’OCBI m-l nel 1977 fondò il Partito marxista-leninista italiano (PMLI), con a capo Scudieri, che pubblica a tutt’oggi Il Bolscevico.
Nel 1991 PCd’I (M-L) e l’UGC (M-L) confluirono nel Movimento per la Rifondazione Comunista.
Parallelamente le organizzazioni comuniste combattenti, in primo luogo le Brigate Rosse, hanno condotto un processo che pure ha visto una vasta partecipazione – in diversa misura e forma – di operai, lavoratori, studenti ed elementi delle masse popolari alla lotta contro i padroni, il loro Stato e le loro strutture repressive. Anche in questo ambito il tentativo di ricostruzione del partito comunista ha trovato le sue spinte e i suoi contrasti, ma è indubbiamente stata la questione centrale che, insoddisfatta, ha portato alla crisi e infine al crollo di quelle organizzazioni (che pure avevano raccolto anche quantitativamente un significativo contributo di massa).
Da allora ad oggi il movimento comunista italiano è stato via via sempre più costellato da una miriade di organizzazioni che si formano, si frazionano, si sciolgono.
Le principali di queste organizzazioni hanno in qualche modo quell’origine comune, un passato più o meno ereditato che ne determina per certi versi le caratteristiche. Quindi una parte fondamentale dell’attuale movimento comunista ha avuto un obiettivo comune: nasceva come tentativo di dare alla classe operaia del nostro paese un partito comunista rivoluzionario, per strappare la classe operaia stessa dall’influenza della deriva revisionista della direzione del vecchio PCI. Questo tentativo non ha dato i frutti sperati: abbiamo mancato l’obiettivo fondamentale. A distanza di oltre 50 anni è necessario, oltre che onesto, ammetterlo e farci i conti.
D’ora in poi indicheremo con il termine componenti del movimento comunista quei partiti, organizzazioni, gruppi, collettivi, organismi, ecc. che in qualche modo si rifanno al comunismo e si dichiarano comuniste.

Nota 9
[Partiti, organizzazioni, gruppi, collettivi, organismi che si rifanno al comunismo e che si dichiarano comunisti sono anche il PRC e il PdCI e quello che ne resta, il CSP di Rizzo, tutti i gruppi trotzkisti. Quale relazione stabilire con essi? Quale ruolo (positivo, negativo) possono avere nell’opera di ricostruzione del partito comunista (che sarà uno, e non saranno tre e nemmeno due)? Al loro interno ci sono o no elementi delle masse popolari il cui contributo è utile allo scopo?]
(Il rapporto che va tenuto con i vari soggetti interni o orbitanti intorno al movimento comunista va valutato caso per caso, sia per quelli che svolgono direttamente o indirettamente un ruolo positivo che per quelli che lo svolgono negativo. Indubbiamente il ruolo delle masse al loro interno è utile allo scopo se ben indirizzato. Tutta questa è materia del nostro lavoro come comunisti. Spesso è anche materia da cui si generano aspre divisioni tra le componenti del movimento comunista.)

Oggi praticamente ogni componente del movimento comunista si sta ponendo il problema della ricostruzione del partito comunista o dell’unità dei comunisti. In sostanza ogni compagno che vuole ragionare con la propria testa si pone il problema della frammentazione (frantumazione, disgregazione o che dir si voglia) del movimento comunista e delle sue sorti nel prossimo futuro.
Anche quelle componenti che ritengono di essere esse stesse il partito comunista necessario (di averlo cioè già costruito) sono costrette ad ammettere che il loro partito non è ancora all’altezza dei compiti che spetterebbero ad esso, nonostante alcuni di questi partiti siano stati fondati da 10, 20 anni o oltre (PMLI, (n)PCI, PCm, ecc.). È segno che nel movimento comunista del nostro paese è in corso, apertamente riconosciuto o meno che sia, un sano processo di autocritica. Dobbiamo afferrarlo coscientemente e saldamente, condurlo a fondo per fare un significativo passo avanti, se vogliamo riconquistare la perduta influenza sulle larghe masse, per arrivare finalmente a individuare e quindi a smuovere le cause che ci inchiodano ad un ruolo ancora sostanzialmente ininfluente nella lotta di classe.
Quindi possiamo affermare che nel nostro paese manca un partito comunista all’altezza dei compiti che la fase attuale pone di fronte ad esso.

Nota 10
[Per stabilire se si è o no all’altezza dei compiti bisogna definire quali compiti, come questi compiti si articolano e si pongono uno di seguito all’altro. Il nostro compito principale non è difenderci dall’attacco della borghesia imperialista, ma trasformare la difesa spontanea delle masse popolari in attacco, e questo attacco si sviluppa come Guerra Popolare, che si articola in campagne, che a loro volta si articolano in battaglie. La domanda dunque è se esiste oggi un partito adeguato a condurre la guerra e adeguato alla specifica battaglia da fare.]
(Non basta: per stabilire se si è o meno all’altezza dei compiti: bisogna definire i compiti e svolgerli, fare un bilancio franco dei risultati, correggere il tiro dove necessario e via così, in passaggi successivi di una spirale crescente. A nostro parere oggi non esiste un partito adeguato a condurre questa guerra, altrimenti non ci porremmo il problema di costruirlo. Esistono però elementi organizzati (le cmc) che sono spinti in vario modo alla sua ricostruzione e che hanno accumulato o stanno raccogliendo un’esperienza utile dalle piccole battaglie che oggi conducono. Il punto di partenza per la fase nuova è passare da questa galassia disgregata in qualcosa (cosa lo dobbiamo scoprire insieme anche partendo da questo dibattito) di più efficace sia per la conduzione di campagne che forniscano materiale di analisi più determinante, che per contrastare la sfiducia delle masse nel movimento comunista del nostro paese.
A proposito di quest’ultimo aspetto (la fiducia della masse nel movimento comunista): avete voi elementi concreti, qualitativi e quantitativi, che indicano un’evidente crescita di tale fiducia?)

Questa è una delle questioni fondamentali (dal punto di vista soggettivo la principale) che noi comunisti dobbiamo affrontare. È una questione che riguarda sostanzialmente tutti i comunisti dei paesi imperialisti; risolvendo il problema nel nostro paese contribuiremo alla sua soluzione anche negli altri paesi.
Ognuna delle diverse componenti del movimento comunista sviluppa la propria attività rivolta alle masse popolari, ai lavoratori, alla classe operaia, contro la borghesia, contro i padroni, contro gli apparati repressivi dello Stato, ecc. Allo stesso tempo ognuna di esse sviluppa una propria attività interna di formazione, di dibattito, ecc.
Organizzazioni e partiti, gruppi e collettivi esistenti, nonostante i numerosi tentativi, raramente riescono a mettere in campo iniziative comuni che producono un livello di unità superiore.
In Italia il numero delle componenti del movimento comunista oscilla tra fondazioni e scioglimenti, divisioni (molte) e fusioni (poche), espulsioni (molte) e reclutamenti (pochi). Indicativamente si aggirano tra le 20 e le 30 organizzazioni che raccolgono ciascuna dai 3 – 4 fino a 80 – 100 militanti. Quelle oltre i 50 militanti sono comunque solo due o tre. Complessivamente saremo, ad essere generosi con noi stessi, circa 2000 compagni organizzati.
Naturalmente il grado di militanza è anch’esso molto vario. Alcuni membri sono militanti a tempo pieno, qualcuno pure funzionario, e questi svolgono un ruolo attivo permanente; altri, all’opposto, sono più che altro collaboratori saltuari più o meno scoordinati, la terra di mezzo è la più nutrita.
Parallelamente a questa situazione del movimento comunista, i passi indietro che la classe operaia e le masse popolari sono costrette a subire in termini di condizioni di vita e di lavoro, sono la dimostrazione che la classe operaia ancora non è armata (cioè non ha il suo reparto d’avanguardia: il partito comunista): quando combatte – e ancora capita raramente in rapporto agli attacchi che subisce – lo fa disarmata.
Non bastano le buone intenzioni del membri e delle componenti del movimento comunista: nessuna di esse esercita oggi una significativa influenza politica sulla la classe operaia e sulle masse popolari tale da favorire il suo armarsi. Nessuna di esse, nel corso della sua storia – e per alcune si tratta anche di oltre 20 anni di esistenza sotto la medesima sigla – si è sviluppata fino a diventare un punto di riferimento nazionale per una cerchia di lavoratori e masse popolari che superino il qualche centinaio di elementi. Non vale contare le sporadiche iniziative che periodicamente mettiamo in piedi e alle quali arrivano a partecipare complessivamente qualche migliaio di persone: queste non sono indice di influenza politica sulla classe, benché restino comunque, in alcuni casi, una dimostrazione di dignitosa capacità organizzativa e soprattutto di lodevole spirito di abnegazione dei membri che più vi si impegnano.
Se la nostra influenza fosse reale, dalle diverse iniziative che sviluppiamo dovremmo conseguentemente trovare risorse per accrescere le nostre forze, anche di poco. Ma poco per poco, essere in 20 o 50 dopo 10 o 20 anni di lavoro non può significare altro che noi non siamo ancora in grado di convincere un lavoratore – che per di più subisce crescenti attacchi dai padroni – a lottare nelle nostre fila, cioè a combattere, almeno in teoria, meglio organizzato, più forte, più incisivo. La nostra proposta, nelle sue varie forme in cui si esprime per mano e bocca delle 20 o 30 organizzazioni comuniste, non convince.

Nota 11
[Il collettivo Aurora non tiene conto del contesto in cui il lavoro si svolge. Si tratta di fare la rivoluzione socialista, cioè di fare la rivoluzione in un paese imperialista, cosa mai fatta in precedenza, e l’opera quindi richiede il tempo necessario. Calcolando l’opera in termini quantitativi non si arriva a capo di nulla. Il primo PCI, durante tutto il periodo fascista non ebbe crescita quantitativa, né crebbe il suo legame con le masse, ma nemmeno sviluppò una teoria adeguata su come fare la rivoluzione in un paese imperialista, tanto che al momento in cui le masse popolari in grande numero si rivolsero a lui per avere prospettive e armi, nel settembre del 1943, fu colto di sorpresa.
“Persino nel settembre 1943 in Italia manca ancora una linea di partito per spostare l’attività sul piano della guerra. Dalle caserme che restano per alcuni giorni abbandonate o scarsamente presidiate, i singoli comunisti recuperano armi ma per iniziativa individuale; ai soldati, che a causa della vergognosa diserzione del re e di gran parte degli ufficiali superiori, si sbandano, il partito per alcune settimane non dà direttive né fornisce organizzazione e direzione. Solo nel corso del mese il partito incomincia a svolgere il suo compito di promotore, organizzatore e dirigente della guerra antifascista con i grandi risultati che conosciamo. Per la prima volta nella loro storia le masse popolari italiane vedono all’opera un partito comunista che dirige sul piano strategico e sul piano tattico una vasta azione politica (che comprende anche il suo aspetto militare): per questo giustamente abbiamo detto che la Resistenza è stata a tutt’oggi “il punto più alto raggiunto finora nel nostro paese dalla classe operaia italiana nella sua lotta per il potere”. (http://www.carc.it/index.php?view=article&id=869)”(1)]

NOTE
1. Quale partito comunista? (da La Voce 45 del (nuovo)Partito comunista italiano, anno XV novembre 2013, pubblicato in questa raccolta.

(Esattamente: il partito nasce per forza di cose piccolo e con scarsa influenza tra le masse, ma se adotta (cioè scopre e costruisce) una giusta concezione e una giusta linea il partito cresce e cresce la sua influenza tra le masse. Se invece non possiede questi elementi non cresce e perde la fiducia delle masse (e se è grande per ragioni storiche poi si sgretola). Ergo: se un partito non cresce vuol dire che qualcosa non va! Noi non abbiamo la verità in tasca su cosa sia questo qualcosa che non va, ma lo dobbiamo scoprire partendo dal riconoscere che le cose stanno così.
Stando a quanto asserisce il (n)PCI, dovremmo concludere che se non si cresce oggi non ha importanza, tanto quando arriverà un altro 8 settembre la cosa importante sarà avere la linea giusta e non venire colti di sorpresa? Ma perché le masse in quel futuro 8 settembre dovrebbero rivolgersi ad un partito che avrà sì e no 100 militanti e sconosciuto ai più?

Ma ancora peggio possiamo dire se consideriamo per un momento noi stessi come un unico corpo del movimento comunista: da alcune decine di migliaia che eravamo negli anni 70 siamo rimasti meno di 2000 compagni! Con un seguito tra le masse che fatica a superare lo stesso numero dei militanti.

Nota 12
[Perché Aurora paragona il numero odierno con quello dei bei tempi che furono, e non con quello dei bei tempi che saranno? Il passato dei proletari non è così bello da perderci tempo in nostalgie.]
(L’analisi non è mai tempo perso se fatta allo scopo di migliorare le condizioni attuali. Inoltre: il tempo passato dei proletari russi o cinesi è peggiore di quello attuale? Tanto peggiore che non vale la pena nemmeno provarne nostalgia? Per non dire farne un buon bilancio!
L’osservazione di Babini ha del religioso: non confrontare dati certi di oggi con dati certi di ieri per fare un’analisi concreta, ma affermare che comunque domani ci sarà il regno dei cieli.)

La questione risulta ancor più grave se consideriamo verosimile quello che molte componenti dichiarano: “la situazione è favorevole”. Per fortuna!

Nota 13
[Se il contadino dice: “la mucca è da mungere” che c’è di grave? Grave è non mungerla, non quello che il contadino dice.]
(Il problema non è la dichiarazione che la situazione è favorevole, ma che, pur di fronte ad una situazione favorevole, non si ottengono risultati significativi. Quindi non si tratta di smettere di dire che è favorevole, ma di capire perché, nonostante lo sia, non si avanza.)

Siamo pochi, divisi e non cresciamo! Per amara che sia, questa verità la dobbiamo riconoscere, dobbiamo smetterla di ignorarla, dobbiamo studiarla a fondo per capirne le cause e trovare la soluzione. Questo è il nostro compito! Ogni altra cosa a cui dedichiamo risorse ed energie, non è altro che una forma di tentativo di sopravvivenza, al di là delle nostra più buona volontà: è un tirare a campare, anche se non ci sembra tale.

Nota 14
[Bisogna fare un bilancio, effettivamente. Magari con entusiasmo, e non con l’amarezza di cui parla il collettivo Aurora,. Senza pensieri felici non si vola, dice Peter Pan, e se non si vola la foresta dall’alto non si vede.  Pensiamo, dunque, consapevoli che “quello che pensiamo, decide di ciò che facciamo”(1).]
NOTE
1. Dobbiamo imparare a pensare, in La Voce del (n)PCI, n. 46, marzo 2014, p. 23, in http://www.nuovopci.it/voce/voce46/lavoce46.html#Dobbiamo_imparare_a_pensare

(Oops..! Mi era sfuggito quel materialista bolscevico di Peter Pan. Battute a parte, va notato che il riferimento a Peter Pan è infelice ma anche indicativo: la sindrome di Peter Pan non è cosa positiva. È, guarda caso, l’atteggiamento di chi non vuole crescere, di chi non vuole assumersi responsabilità concrete, non rispetto ai suoi sogni ma rispetto alla realtà che lo circonda. Cade quindi proprio a fagiolo per il tema che stiamo trattando: che il movimento comunista sia in parte affetto da questa sindrome? Inoltre aggiungiamo che quello che facciamo è conferma o smentita di quello che pensiamo!)

L’accusa di pessimismo e di disfattismo rivolta a chi si riconosce in questa visione della situazione del movimento comunista, o comunque a chi mette in evidenza i nostri limiti, corrisponde al comportamento da struzzi. Fingere che il bicchiere sia mezzo pieno ci mantiene fuori strada. Non ci sono forse sufficienti motivi per combattere se viene a mancare l’ottimismo di facciata che per tanto tempo molti di noi assumono? Forse che le sofferenze e la rabbia di milioni di lavoratori non sono forza motrice sufficiente a farci superare la nostra spiegabile demoralizzazione di fronte alla nostra debolezza? È certamente più serio fare bene i conti con le nostre debolezze e trovare la strada per superarle, ovviamente partendo dal vederle!

Nota 15
[La forza motrice non è la sofferenza dei lavoratori. Il collettivo Aurora, a dispetto del proprio nome, privilegia i toni oscuri. La demoralizzazione si supera quando abbiamo in mano (o in testa, diciamo) sufficienti elementi per intraprendere con fiducia un’impresa che l’umanità non ha mai compiuto, cioè fare la rivoluzione in un paese imperialista. Il “primo motore” sta in questo. ]

È un problema di linea giusta?
In merito alle scissioni, espulsioni, fuoriuscite o mancanza di crescita, ogni componente del movimento comunista dichiara l’ineluttabilità della divisione da o dell’espulsione di sulla base di una teoria giusta, più avanzata, più rivoluzionaria; oppure sostiene che la linea seguita è giusta ma al proprio interno la volontà di applicarla è ancora debole.
Non v’è dubbio che l’elaborazione teorica prodotta dal movimento comunista nel suo complesso sia formata da idee giuste e idee sbagliate, come è altrettanto vero (se pur non automatico) che da idee giuste conseguono tattiche e strategie giuste e viceversa per le idee sbagliate.
La lotta ideologica nell’ambito del movimento comunista è quel movimento cosciente determinato, in fin dei conti, dalla contraddizione fondamentale tra borghesia e proletariato; è il riflesso nel movimento comunista della lotta tra borghesia e proletariato; essa è pertanto una forma della lotta di classe.
Quindi, ad un certo livello, la lotta ideologica anche nel movimento comunista è lo scontro tra due poli di una contraddizione antagonista.

Nota 16
[Ci sono idee giuste e idee sbagliate, dice il collettivo Aurora, ma non dice quali. Non prende posizione, pensando che se lo facesse non darebbe un buon contributo all’unità delle forze comuniste cui aspira. Ma la realtà è dialettica, ed è dividendoci che ci uniamo, cioè dividendo quelli che seguono una linea giusta da quelli che seguono una linea sbagliata.
Il collettivo Aurora non dice nemmeno cosa distingue le idee giuste da quelle sbagliate, cioè cosa distingue le idee che portano la classe operaia alla vittoria da quelle che la portano alla sconfitta, le idee della sinistra del movimento comunista dalle idee della destra. Una cosa che distingue le une dalle altre è il fatto che le prime hanno da essere nuove, hanno da essere costruite, non sono dogmi di scienza passata, lavoro morto (che se bastasse quello non saremmo messi così male come il collettivo Aurora ricorda) mentre le seconde non hanno bisogno di essere costruite, perché sono null’altro che le vecchie idee della concezione borghese e della concezione clericale del mondo, sono quelle del “si è sempre fatto così” o del fatto che “sì, in teoria bisogna fare la rivoluzione, ma in pratica dobbiamo risolvere una serie di problemi immediati e non abbiamo tempo da perdere in sperimentazioni rischiose, per cui facciamo al modo antico.” Le idee della destra sono lì a disposizione (come la mela che la strega dà a Biancaneve), quelle della sinistra  sono da farsi. Per questo ci chiamiamo “carovana del (n)PCI”: perché avanziamo in terra nuova.]
(Già detto a proposito del fatto che in questo documento non esponiamo tutto il nostro sapere. Ma ben venga la sollecitazione a farlo. Noi siamo convinti, e lo diciamo chiaramente, che ci sono idee giuste e idee sbagliate. Siccome però ognuno afferma che le proprie idee sono giuste e quelle degli altri sbagliate, bisogna fare un passo avanti. Il passo avanti che dobbiamo fare è la verifica nella pratica delle idee. L’applicazione di un’idea nella pratica, quali risultati ha portato? Che le idee vengono dalla pratica è patrimonio del movimento comunista e parte fondamentale della concezione materialistica dialettica. In questo caso la concezione che “le idee nascono dalla pratica” non si distingue per essere nuova, ma resta giusta.)

La lotta ideologica è anche, più in generale, la lotta per l’affermazione delle idee giuste e delle linee tattiche e strategiche ad esse conseguenti. All’interno del movimento comunista, così come all’interno del proletariato e di tutte le masse popolari in quanto classi, esistono anche contraddizioni non antagoniste che determinano uno scontro di idee espressione dei poli di quelle stesse contraddizioni. Si tratta di contraddizioni in seno al popolo e non di contraddizioni antagoniste. Il loro superamento, a differenza del superamento della contraddizione fondamentale tra borghesia e proletariato, è un’unità superiore.
Oggi spesso nemmeno all’interno di ciascuna delle componenti del movimento comunista di una certa dimensione (diciamo dai 20 membri in su) c’è una linea unitaria.

Nota 17
[La si condivida o meno, all'interno degli organismi di organismi della carovana come il P-CARC e il (n)Pci una linea unitaria c'è.]
(C’è a parole, ma come si vede dalla pratica, dallo scambio di opinioni, è vero anche il contrario.
Il Materialismo Dialettico (concezione del mondo abbracciata anche dal P-CARC) insegna che sempre quantità e qualità sono legate, sono due poli di una contraddizione, che sempre in ogni fenomeno esistono aspetti quantitativi e qualitativi. La quantità di calore trasmessa all’acqua trasforma questa dallo stato liquido a vapore. Dialettica della Natura di Engels è ricco di esempi che illustrano questa rivoluzionaria scoperta e concezione del mondo. Eppure più avanti (Nota 19) il compagno Babini afferma: “Quando mai la quantità è segno di qualità?”. Tenendo per buona la concezione materialistica dialettica del mondo noi affermiamo: sempre! Ma anche vari documenti dello stesso P-CARC affermano: sempre!
Engels afferma
Le leggi della dialettica vengono dunque ricavate per astrazione tanto dalla storia della natura come da quella della società umana. Esse non sono appunto altro che le leggi piii generali di entrambe queste fasi dell'evoluzione, e del pensiero stesso. Esse, invero, si riducono fondamentalmente a tre:
la legge della conversione della quantità in qualità e viceversa;
la legge della compenetrazione degli opposti;
la legge della negazione della negazione.
[…]
1. Legge della conversione della quantità in qualità e viceversa.
Possiamo esprimerla, per quel che concerne il nostro scopo, nel fatto che nella natura variazioni qualitative possono aver luogo solo aggiungendo o togliendo della materia o del movimento (la cosiddetta energia), e ciò in modo rigorosamente valido per ogni e qualsiasi singolo caso.
[…]
Probabilmente quegli stessi signori, che hanno finora tacciato di misticismo e di trascendentalismo incomprensibile la conversione della quantità in qualità, dichiarano adesso che si tratta di una cosa ovvia, banale, piatta, della quale da gran tempo avevano fatto uso, e che con ciò non viene loro insegnato nulla di nuovo. Ma resta sempre un fatto di importanza storica avere enunciato per la prima volta,.. nella forma in cui è universalmente valida, una legge generale di sviluppo della natura, della società e del pensiero. E se quei signori hanno già da anni trasformato quantità e qualità l'una nell'altra senza sapere quello che si facevano, dovranno consolarsi pensando al Monsieur Jourdain di Molière che, anch'egli, aveva parlato in prosa tutta la sua vita senza averne il minimo sospetto.

L’affermazione del compagni Babini è un buon esempio di non corrispondenza, all’interno di una stessa organizzazione, delle concezioni, da cui poi derivano anche le linee. Eppure questo non impedisce a Babini di essere uno dei dirigenti del P-CARC. Noi non siamo stupiti di questo, non perché pensiamo che il P-CARC ponga alla sua testa compagni che non hanno una giusta concezione del mondo, ma perché in generale ogni componente del movimento comunista svolge un’attività concreta che è ancora ben lontana dal rendere realmente determinati ai fini pratici anche le più grossolane divergenze di concezioni).

Spesso non c’è unità nemmeno sulle questioni più generali: sulla mobilitazione delle masse, sul ruolo e i nostri compiti verso e nei cosiddetti sindacati di regime e su quelli alternativi; sulle forme di propaganda, sulle elezioni borghesi, sulla repressione, sull’ambiente, sui movimenti di massa emergenti come ad esempio il Movimento 5 Stelle. Nemmeno c’è unità sulla linea organizzativa, sulla linea della costruzione del partito comunista. Questi sono solo alcuni esempi. Ognuna delle componenti del movimento comunista attuale dovrebbe chiedersi: quanta unità abbiamo costruito al nostro interno su questi punti fondamentali? Potremmo forse affermare con certezza che l’unità costruita al nostro interno su questi punti è più forte della divisone che ci separa da altre organizzazioni o da altri compagni?
Leggendo una serie di testi raccolti (vedi Appendice) e di cui suggerisco l’analisi, emerge chiaramente che esiste, almeno nelle dichiarazioni ufficiali, un’ampia convergenza – quando non un’identità di vedute – su alcune questioni fondamentali (strategiche) e su numerose questioni tattiche; una convergenza che spesso è anche più marcata di quanto lo sia l’effettiva coerenza tra la teoria e la sua applicazione pratica di una stessa organizzazione.
Probabilmente invece la frammentazione del movimento comunista è ancora principalmente il frutto di una lunga serie di divisioni storiche di bottega che nulla hanno a che fare con la lotta tra le linee all’interno di un partito comunista.
Lenin esortava i sostenitori di vie alternative a quelle espresse dai bolscevichi a non trascinare questi ultimi nel pantano delle loro inconcludenti concezioni e strade. Ma oggi, qui in Italia (e in parte anche altrove) siamo tutti nel pantano e nessuno ha ancora costruito quel “piccolo nucleo compatto” che marcia deciso sulla giusta via.
Se non usciamo da questo pantano ci affogheremo tutti. Dobbiamo iniziare a dedicare una parte importante del nostro lavoro a tentare strade per superare la frammentazione, altrimenti il movimento comunista finirà per avere un’influenza e quindi un’importanza nulla per le masse popolari.
Forse 50 anni fa poteva avere un senso la linea del “che vinca il migliore”, nel senso che tra varie organizzazioni del movimento comunista che si erano formate poteva condursi una lotta che avrebbe portato quelle guidate da una concezione ed una linea giusta a conquistare più delle altre la fiducia e quindi l’adesione delle masse. Ma, cessata la prima spinta di grande sviluppo del movimento comunista rivoluzionario (i primi 15 anni dall’avvento del revisionismo) nessuno ha vinto, nessuno è stato il migliore, nessuno ha raccolto e ha tutt’ora le larghe(!) masse al suo seguito.

Nota 18
[Limitare il movimento comunista rivoluzionario ai primi 15 anni dall’avvento del revisionismo è un errore. Il movimento comunista cosciente e organizzato copre l’intero arco di tempo dal 1848 a oggi, e in questo arco di tempo si distingue in movimento che avanza verso la rivoluzione e movimento revisionista. Quest’ultimo movimento si esprime nel primo revisionismo e nel revisionismo moderno. Il revisionismo nella sostanza è sempre uguale, mentre il movimento comunista rivoluzionario si trasforma, e ogni volta risorge con superiore potenza, prima come movimento marxista, poi marxista leninista, poi marxista leninista maoista. Ridurre il movimento rivoluzionario a 15 anni di storia e qualificarlo come rivoluzionario solo perché non era “non rivoluzionario”, cioè non era revisionista, porta poco avanti nella comprensione della realtà.]
(Questo commento è pura polemica sterile: è chiaro che parlando dei primi 15 anni non ci riferiamo a tutta la storia del movimento comunista rivoluzionario ma solo a quello che va dalla fine degli anni 50 a metà anni 70! Suvvia! (Aggiungo che con maggiore precisione potevamo dire primi 20 anni: 56-76).)

Allora potevamo dire che i fatti avrebbero dimostrato chi era il migliore, chi era il più adatto a incanalare la mobilitazione delle masse nella lotta per il socialismo. I fatti potevano dimostrarlo perché la mobilitazione promossa da varie componenti del movimento comunista era effettiva, corposa. La grande quantità era anche dimostrazione di buona qualità.

Nota 19

[Fosse stata buona la qualità, la quantità non solo si sarebbe mantenuta, ma sarebbe cresciuta. Quando mai la quantità è segno di qualità? Quantitativamente, il PCI era superiore rispetto alle organizzazioni antirevisioniste. I partiti socialdemocratici della Seconda Internazionale erano molto grandi quantitativamente: perché si sono sfasciati a partire dalla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, con la sola esclusione del POSDR?
La grande quantità di cui si parla qui era aspetto particolare della grande quantità del movimento comunista a livello internazionale, e quella a sua volta era risultato dell'aver seguito una linea fondamentalmente giusta, quella che aveva portato al successo della rivoluzione in Russia, linea che si era fondata, a sua volta, su scoperte partite da un nucleo quantitativamente ridotto, come quello del POSDR di Lenin, nucleo che non si costituì per "rimediare alla frammentazione" che esisteva anche a quel tempo, ma che anzi al suo interno si rinsaldò differenziandosi anche da componenti interne. Ma di questo si parla oltre.]
(Dice il compagno Babini: “Fosse stata buona la qualità, la quantità non solo si sarebbe mantenuta, ma sarebbe cresciuta.” Ci chiediamo: questo vale solo per il passato o anche per i comunisti di oggi?
Per qualità Babini forse intende solo “buona qualità”. Il termine qualità invece non comprende un giudizio di buono o cattivo. L’acqua a temperatura di ebollizione diventa vapore. Non vapore buono o vapore cattivo.)

Oggi siamo nella situazione in cui nemmeno le iniziative giuste hanno i numeri per qualificarsi tali. Ciò non significa meccanicamente che non siano giuste, che non siano guidate da giuste concezioni, significa solo che ci è per forza difficile valutare la qualità stante la scarsa quantità. È come fare un test con un solo campione scarso di reattivo e di reagente: può riuscire o meno, ma non fa testo.

Nota 20
[Non concordo. È come dire che si può scegliere un partito solo quando è grande e non, quindi, che se un partito grande non c'è si opera per costruirlo, e a partire dal piccolo, perché ogni organismo, anche in natura, nasce piccolo.]
(No. Vuol dire che prima di affermare che si sta operando nel modo giusto occorre condurre l’esperimento in modo diverso. Vuol dire che se un partito è piccolo si opera per farlo crescere e se non cresce vuol dire che si sta operando male ma non che non bisogna operare! Così è più chiaro? Tanto per non girare intorno alla frittata: cominciamo ad entrare nel merito di questo.
Siamo naturalmente d’accordo sul fatto che si può scegliere anche un partito piccolo o ricostruirlo se non c’è. Ma quando qualcosa che è piccolo o appena nato non cresce allora significa che non si trasforma (quantità --> qualità). Anche due compagni possono lavorare per ricostruire un partito comunista, ma se rimangono 2 compagni, anche se si fanno chiamare partito, partito non sono, perché solo una certa quantità porta a quella determinata qualità. Due compagni al più sono una coppia.)

Tra qualità e quantità c’è un rapporto dialettico. Non è vero che una viene prima dell’altra, che la qualità viene prima della quantità. L’una rafforza l’altra, l’una dimostra l’altra.
In molte componenti del movimento comunista, di fronte alla critica (interna od esterna) di mancanza di unità dell’insieme del movimento comunista, viene contrapposta la teoria che “il partito epurandosi si rafforza”. Sebbene in determinate circostanze questa teoria sia giusta, essa, come ogni teoria, vale in quanto corrispondente ad una situazione concreta. Infatti è tutt’altro che automatico il rafforzamento dell’organizzazione tramite la divisione di concezioni diverse all’interno dell’organizzazione stessa. In certe situazioni vale il principio che se togli lo zucchero al succo d’uva non ottieni il vino: per ottenere il vino bisogna che lo zucchero fermenti e produca alcool!
Così, soprattutto nel contesto attuale (in cui cioè il movimento comunista è al suo minimo storico delle forze), le divisioni che non riguardano i compiti contingenti sono inutili nel migliore dei casi e dannose nella maggior parte.
D’altronde l’esperienza dei principali partiti comunisti vittoriosi ci ha mostrato fasi alterne di unità di forze non omogenee e di divisioni indispensabili. Il POSDR (Partito Operaio Socialdemocratico Russo) si formò come fusione di diversi partiti addirittura di paesi diversi, tra i quali esistevano differenze significative che al momento dell’unificazione non erano fondamentali o dirimenti rispetto all’obiettivo principale. In seguito Il POSDR si epurò dei soggetti più arretrati o destri quando si divise dai menscevichi e dai Socialisti Rivoluzionari di destra, ma rimase unito ai SR di sinistra e con alcuni soggetti che pure avevano reso incerto il successo dell’insurrezione (Kamenev e Zinoviev che preannunciarono l’imminente insurrezione non furono espulsi ma solo sollevati dai loro incarichi più importanti). Poi ancora il POSDR si epurò dei soggetti che non combattevano adeguatamente la controrivoluzione scatenata dai bianchi e dagli imperialisti. Ecc. ecc.

Nota 21
[E’ vero che in certi momenti ci si unisce, in altri ci si divide, ma perché, e quali sono gli snodi cruciali? Senza di questo abbiamo la narrazione di percorso storico e non ne traiamo un percorso logico, utile a chi deve intraprendere di nuovo il cammino. L’unico principio espresso è che è male dividerci quando siamo pochi. Eppure oggi una miriade di coppie si dividono, e sono tutte unità di sole due persone.]

In sostanza anche la questione della “purificazione” nelle file del partito del proletariato è sempre una questione concreta, non è un principio assoluto e astratto.
Oggi nei paesi imperialisti il compito principale per il rafforzamento o la creazione di partiti comunisti è la ricostruzione del legame con le masse che è diventato praticamente inesistente.

Nota 22
[Oggi nei paesi imperialisti il compito principale per il rafforzamento o la creazione di partiti comunisti è un livello adeguato di elaborazione scientifica dell’esperienza della lotta di classe. Con questo, si crea il legame tra partito e masse che consente l’esistenza del partito e il suo rafforzamento. Qui e altrove, parlando di masse il collettivo Aurora ragiona in termini quantitativi: le masse sono da lei intese come “grandi quantità di esseri umani”. Non considera l’importanza di stabilire un legame anche con nuclei minimi delle masse popolari, cosa che agli inizi è inevitabile e anzi è un passo avanti notevole. Sono un esempio qui in Toscana la costituzione di due sezioni del Partito dei CARC, una a Siena e una a Pisa, basate sul legame intrecciato con pochi elementi.]
(E contemporaneamente abbiamo anche la perdita di una o due sezioni a Massa! Allora anche per il P-CARC è vero che la crescita quantitativa è indice di qualità. Bene. Noi siamo convinti che, soprattutto all’inizio, i passi non possono essere grandi e così pure i risultati. Ma dopo 20 anni si può parlare ancora di inizio? Evidentemente sì, poiché i fatti dimostrano che siamo ancora nella fase in cui non abbiamo ancora capito come procedere, nonostante la logica ci indichi una strada che sembrerebbe giusta… in teoria.)

La nostra influenza tra esse, il loro seguirci o meno, non dipendono solo dalla giustezza delle nostre idee, ma dalla corrispondenza tra queste e la pratica, soprattutto dai risultati pratici.

Nota 23
[A essere precisi, la giustezza delle idee sta nella corrispondenza tra queste e la pratica. Se un’idea è giusta, influenza le masse popolari nel senso che le orienta o che diventa un mano loro uno strumento che funziona. Se tutto questo non avviene, l’idea non è giusta.]
(Esattamente! Facciamo il bilancio anche della mobilitazione delle masse avvenuta grazie al nostro lavoro di propaganda.)

Oggi i nostri risultati sono praticamente nulli su questo campo e questo significa o che nessuno ha una teoria generale – una strategia – giusta (e ciò è anche possibile) oppure che per quanto giusta sia essa comunque non comprende e non sviluppa quasi per nulla il nodo principale: il legame con le masse. Un partito comunista senza un legame con le masse che va progressivamente sviluppandosi non può chiamarsi tale.
D’altra parte come potremmo riuscire a costruire un partito comunista cercando di evitare (come la maggior parte di noi fa oggi) il dibattito e il confronto, che in fondo è l’anima del partito? Perché mai il concetto di centralismo democratico sarebbe assurto alla posizione di principio fondamentale per ogni partito comunista se non costituisse il nervo principale della esistenza del partito stesso e del suo sviluppo come forma cosciente e organizzata della classe?
Il settarismo che in diverse forme si manifesta oggi tra le varie componenti del movimento comunista in fondo non è altro che il rifiuto di ciascuna componente di accettare tutti gli aspetti che il centralismo democratico comporta per la vita del partito e quindi di ogni suo militante.

Nota 24
[Il centralismo democratico vale all’interno di un partito, non tra le varie componenti del  movimento comunista cosciente e organizzato.]
(Infatti se si legassero organizzativamente ad un certo livello alcune componenti del movimento comunista, dovrebbero arrivare ad adottare il centralismo democratico, e non è facile essere disposti a farlo quando si parte dall’idea che la mia e solo la mia linea è quella giusta “al di là di ogni ragionevole dubbio”.)
Ma se non diventiamo militanti e istanze capaci di districarci tra le difficoltà dello scontro tra idee e regole che determinano il nostro rapporto, come potremmo pensare di essere capaci di superare le difficoltà determinate da una guerra reale, concreta e terribile contro un nemico che, lo ha più volte dimostrato, userà ogni mezzo per eliminarci dalla storia?
Che cosa sta succedendo oggi?

Il “fenomeno” della rapida ascesa del Movimento 5 Stelle che, diciamocelo, ha colto più o meno di sorpresa anche ogni componente del movimento comunista, indica alcune cose importanti.
Innanzitutto vi è stata la manifestazione di una diffusa voglia di partecipazione delle masse alla vita politica, cosa che nessun altro partito o organizzazione (che sostenesse o meno che le masse volevano partecipare) era stata fino ad ora in  grado di mettere in evidenza. Il voto e la partecipazione ai momenti organizzativi del M5S non sono in se stessi dimostrazione di voglia di far politica. Esprimono però oggettivamente una tendenza a mettersi in gioco, ciascuno con le proprie idee, impressioni, capacità e storia.

Nota 25
[La volontà di partecipazione delle masse popolari alla vita politica è, d’altro lato, necessità di questa loro partecipazione. Infatti questa partecipazione per quanto riesce a esprimersi è segno della necessità di abolire la divisione in classi, che è diventata obsoleta. È espressione del comunismo come movimento oggettivo.
Questa partecipazione è effettivamente il carattere positivo principale del M5S.]

Il M5S, diciamo tutti, non ha una strategia che possa portare realmente le masse fuori dal marasma attuale. Grillo e i suoi stretti collaboratori sono stati in grado “solo” di far leva sul malcontento diffuso per incanalarlo principalmente in una opposizione contro l’esistente e solo in parte e per aspetti particolari perla costruzione o l’aggiustamento di alcune questioni importanti per la vita delle masse. Complessivamente però i dirigenti del M5S non indicano la via per eliminare le cause che generano e continueranno a perpetrare lo stato delle cose presente. Il M5S è cioè guidato da una concezione soggettivista che lo rende sostanzialmente un movimento riformista radicale. Per migliorare lo stato di cose presente, per il M5S occorrono una serie di personaggi piazzati nei posti chiave e che siano buoni, onesti, competenti e certo anche un po’ filantropi.
In un certo senso esiste una possibile sovrapposizione tra questa strategia e la lotta di classe, ma solo dal punto di vista soggettivo: c’è una classe di cattivi e una classe di buoni. Al posto delle caratteristiche del modo di produzione, del legame contraddittorio tra forze produttive e rapporti di produzione da cui deriva la divisione in classi della società, per il M5S è una questione di buon senso e di onestà. Per eliminare lo sfruttamento, la povertà, la guerra, l’inquinamento, l’ingiustizia, ecc. bisogna mettere alla direzione della società “cittadini” che non siano (almeno fino ad ora) mai stati sfruttatori, guerrafondai, distruttori dell’ambiente, disonesti, ecc. Anche i ricchi possono andare bene: basta non guardare da dove deriva la loro ricchezza!
Anche noi comunisti vorremmo mettere gente simile al potere. Giusto. Però non ci illudiamo e non illudiamo le masse che questo basti a cambiare le cose: se non si eliminano le condizioni materiali che determinano i rapporti sociali da cui dipendono le possibilità di sfruttare, arricchirsi, distruggere, inquinare, ecc. ecc. non facciamo altro che rimandare alle prossime generazioni la soluzione dei problemi più gravi della società. Noi comunisti infatti abbiamo una strategia: il nostro obiettivo è l’abbattimento del capitalismo, che non esiste perché ci sono gli uomini cattivi al potere, ma perché il modo di produzione capitalista presuppone una divisione in classi, presuppone lo sfruttamento di una classe sull’altra.
Sul piano della mobilitazione delle masse emergono poi tutte le contraddizioni che un movimento come quello dei grillini (e in particolare i suoi dirigenti) esprimono. Alla manifestazione più o meno spontanea raggruppatasi il 20 sera davanti a Montecitorio, Beppe Grillo ha detto che andava, poi però ha detto che arrivava tardi, poi ha detto che arrivava il giorno dopo e che la manifestazione si sarebbe tenuta in un’altra piazza: con l’aiuto di Crimi si è dimostrato un bravo pompiere!
Noi comunisti quindi abbiamo una strategia per uscire dal marasma attuale e il M5S non ce l’ha. Però…
Però i grillini si organizzano, si uniscono, raccolgono consensi e in pochi anni sono riusciti ad ottenere 8 milioni di voti alle elezioni politiche. Mentre il movimento comunista sta quasi scomparendo dalla scena elettorale (e non solo).

Nota 26
[Nella scena elettorale gli unici comunisti ad avere avuto accesso sono stati i revisionisti. Cosa intende il collettivo Aurora per “movimento comunista”? Nessuna delle organizzazioni di cui vengono riprodotti qui i testi ha mai avuto peso sulla “scena elettorale” e alcune anzi se ne tengono a distanza. Il movimento comunista è limitato a queste forze, o è altro, o è composto da tutti quelli che si dichiarano comunisti?
È meglio specificare cosa si intende con l’espressione “movimento comunista”, altrimenti si rischia di fare affermazioni che non sono diverse da quelle di tutta la parte di masse popolari che si lamenta del fatto che elementi come il PRC o il PdCI non sono in parlamento. Bisogna invece fare affermazioni diverse da quelle che fanno le masse popolari. Dobbiamo avere, a differenza di loro, una scienza della realtà, e non una opinione, o un punto di vista, come dirà più oltre la Rete dei Comunisti. Dobbiamo distinguerci dalle masse, se vogliamo unirci a loro.
Quando parliamo di movimento comunista, distinguiamo tra movimento comunista oggettivo e movimento comunista soggettivo.
Il movimento comunista è oggettivo, infatti. “Prima di essere una teoria, prima di esistere nella coscienza dei comunisti, il comunismo ha incominciato ad esistere come movimento pratico, come processo attraverso il quale i rapporti sociali di produzione e le altre relazioni sociali si trasformano per adeguarsi al carattere collettivo che le forze produttive hanno assunto nell’ambito del modo di produzione capitalista.”(1)
Il movimento comunista soggettivo, invece, è “l’insieme dei partiti e delle organizzazioni che si propongono la marcia verso il comunismo come loro obiettivo, con il rispettivo patrimonio di concezioni, analisi, linee e metodi per realizzare il proprio obiettivo, con un complesso di relazioni e con la corrispondente divisione dei compiti (organizzazioni di massa e partito comunista).(2)
Da questa prima, seppure ancora molto astratta, distinzione, si può partire per una definizione scientifica esatta di ogni espressione parziale del movimento comunista passate e presente, nell’una o nell’altra parte del mondo.]
NOTE
1.       MP, p. 82.
2.       MP, pp. 254-255.

(Per movimento comunista intendiamo quelle organizzazioni e quei compagni che pongono la rivoluzione socialista come loro obbiettivo: quindi escludiamo i revisionisti come organizzazioni ma non i singoli compagni che, se pur all’interno di partiti revisionisti, hanno questo obiettivo almeno nella testa e nel cuore. Concordiamo con quanto espresso nel MP.
Alcune componenti del movimento comunista hanno partecipato alle campagne elettorali degli ultimi anni, sempre con scarsi risultati, nel senso che oggi non ci risultano comunisti rivoluzionari (di nome e di fatto) eletti in amministrazioni locali o in parlamento e che svolgano in questi un ruolo positivo per la rinascita del movimento comunista. Tra le organizzazioni che hanno ritenuto utile parteciparvi vi sono stati sicuramente il P-CARC, Iniziativa Comunista, il Partito comunista italiano marxista-leninista, ecc. Non sappiamo all’oggi quale sia la situazione.
Noi siamo tra quelli che ritengono che i comunisti possono usare le elezioni e le campagne elettorali al fine di raccogliere forze per la ricostruzione del partito comunista.)

Possiamo anche tentare di schivare il problema affermando che le elezioni non dimostrano nulla. Ma non raccontiamoci balle! Supponiamo per un momento che una qualsiasi organizzazione comunista avesse raggiunto lo stesso risultato di voti che oggi hanno raggiunto i grillini (o anche solo uno ottavo!): quale componente del movimento comunista non avrebbe gridato all’inconfutabile dimostrazione della voglia di comunismo diffusa tra le masse? Anche quelli di noi che sono sempre stati contrari alla partecipazione dei comunisti alle elezioni avrebbero comunque esultato, indicando in milioni di voti ai comunisti una palese e sacrosanta (per quanto ancora ingenua) dimostrazione delle masse di voler abbattere la borghesia.
La realtà si incarica di dimostrarci in mille modi che la nostra debolezza ha un carattere fortemente soggettivo a cui dobbiamo mettere mano.
Non è facile trovare la via per risolvere la nostra debolezza. Ma perché poi questa lotta dovrebbe essere facile, quando tutte le lotte che conduciamo sono difficili? Indubbiamente per ogni componente del movimento comunista è più facile sopravvivere che crescere e questo atteggiamento (accontentarsi della sopravvivenza) è quello che oggi predomina nel movimento comunista.
Le componenti del movimento comunista soffrono tutte, chi più chi meno, di settarismo. Alcune manifestano apertamente l’insofferenza per esso, altre no. Sono due tendenze, una delle quali rappresenta la spinta a superare il problema. Quelle che non si pongono il problema favoriscono il suo permanere, quelle che se lo pongono favoriscono il suo superamento. E questa lotta esiste anche all’interno di ogni componente e pure all’interno di ogni compagno. Quando affrontiamo il problema andiamo nella direzione del suo superamento, quando lo ignoriamo o lo sottovalutiamo andiamo nella direzione opposta.
Voglio introdurre un esempio a mio avviso significativo dell’atteggiamento settario della maggior parte di noi. Un’organizzazione comunista che non ha basi a Taranto e che vuole intervenire sulla lotta dell’ILVA, solitamente che fa? Manda qualche compagno a contattare direttamente gli operai dell’ILVA. Non capita praticamente mai che vengano contattate le organizzazioni che hanno già stabilito un rapporto con questi operai, in questo caso, ad esempio, i compagni di Proletari Comunisti. Eppure i compagni di ProlCom hanno indubbiamente un’esperienza accumulata in anni di lavoro in zona. Anche se l’organizzazione “esterna” (che non ha compagni a Taranto) ritiene che i compagni di ProlCom abbiano deviazioni “gravissime” in materia di intervento sulla classe operaia, queste deviazioni difficilmente saranno peggiori di quelle espresse, ad esempio, dalla FIOM o, peggio ancora, da altri rappresentanti dei sindacati di regime con i quali indubbiamente l’organizzazione “esterna” si troverebbe ad aver a che fare di primo acchito. In secondo luogo, anche gli stessi operai dell’ILVA vedrebbero di buon grado l’unità di intervento da parte di diverse organizzazioni comuniste e farebbero fatica a comprendere l’atteggiamento compartimentato.
Alla stessa stregua possiamo valutare esempi riguardanti la Strage di Viareggio del 2009 e la mobilitazione del relativo Comitato 29 giugno, situazione nella quale i compagni di Lotta e Unità hanno indubbiamente accumulato una lunga e profonda esperienza e conoscenza. Così pure per quanto riguarda la mobilitazione dei disoccupati di Napoli o degli LSU, in questo caso i Comitati di Appoggio alla Resistenza – per il Comunismo (CARC), o magari l’OCI avranno più esperienza di altri sul campo. Ciascuna organizzazione può trovare da sé gli esempi adatti al caso.
Che fare?

Nota 27
[Poniamo che sia il P-CARC di andare a chiedere informazioni a Proletari Comunisti se va a Taranto o a Lotta e Unità se va a Viareggio. Il collettivo Aurora non tiene conto di due fattori, uno pratico e uno teorico.
Quello pratico sta nel fatto che sia i tarantini che i viareggini tengono le distanze rispetto al P-CARC. Rammentiamo che ai viareggini fu proposta cooperazione appena conclusa la Prima Lotta Ideologica Attiva, cosa che li stupì moltissimo, perché loro, praticando il metodo da “gruppo di amici”, ritenevano e ancora ritengono che dopo la separazione sul piano organizzativo amici più non si era, il che comportava il non rivolgersi la parola.
Quello teorico sta nel fatto che con i due soggetti nominati, così come con altri, la questione non sta tanto nel mettere a disposizione informazioni, ma nel portare avanti il dibattito franco e aperto, cosa tentata più volte da parte della carovana del nuovo PCI nei confronti di Proletari Comunisti e non solo, ma senza mai avere avuto risposta.
Quanto al chiedere informazioni, la difficoltà ad averne sta nella concezione concorrenziale dell’agire politico, per cui si sta in campo come si sta al mercato, e ognuno cerca di accaparrarsi terreno e clienti a scapito degli altri, per cui la disponibilità a dare informazioni è  minima o inesistente.]
(Noi ne teniamo ben conto: infatti la proposta serve a capire che l’attuale situazione del movimento comunista nel nostro paese è una cosa che fa ridere (ma dovrebbe far piangere) gli operai. È un problema nostro come movimento comunista organizzato, non un problema del solo P-CARC (il P-CARC si comporta poi veramente in maniera diversa?). Chi vuole compiere i primi passi per superarlo? Noi siamo disponibili.)

Gran parte dei membri di ogni componente del movimento comunista ha un’esperienza lunga fatta di confronto, scontro, collaborazione, lotta con diverse organizzazioni del movimento comunista. Non c’è dubbio che il lavoro degli anni passati di tanti compagni è una ricca fonte di insegnamenti utili a trattare il problema del rapporto tra componenti del movimento comunista al fine di superare la loro frammentazione.
Sicuramente tanti compagni che stanno ora leggendo questo testo diranno che di tentativi di unificazione, riaggregazione, ecc. se ne sono fatti a centinaia e che “non ci si cava un ragno dal buco”. Possibile che tutto quello che oggi abbiamo da dire è che “non ci si cava un ragno dal buco”?
Con lo stesso criterio potremmo allora dire che nemmeno tra la classe operaia e le masse popolari si cava un ragno dal buco nel tentativo di reclutarle nel lavoro dei comunisti. Certo, direte, la classe operaia e le masse popolari sono più importanti delle altre organizzazioni del movimento comunista! Perché?
Il nostro movimento comunista è forse composto da borghesi e piccolo borghesi con cui non vale la pena perdere tempo? Non siamo forse per la maggior parte provenienti dal proletariato? Non siamo forse, in quanto militanti in questa o quella organizzazione, i soggetti più interessanti proprio perché già avanzati sulla scelta della militanza, del dedicare una parte o tutta la nostra vita alla lotta per il comunismo?
Dobbiamo smetterla di sentire la puzza sotto il naso e iniziare seriamente a dedicare risorse ed energie alla ricerca di una via per unire i comunisti, sì proprio quelli che si dichiarano tali, proprio a partire anche solo da questa loro dichiarazione. Di fatto chiunque oggi dichiari che la sua linea è la linea giusta vale meno di quello che dichiara di non averla ancora trovata, stante gli ancora insignificanti risultati qualitativi e quantitativi raggiunti. Ma per quanto valga meno, è comunque un interlocutore con cui dobbiamo sforzarci di stabilire un rapporto.

Nota 28
[Dire che chi dichiara di avere trovato una linea giusta “vale meno” di chi dichiara di non averla trovata, perché i fatti ancora non gli danno conferma, è come dire che nel Cinquecento chi diceva che la terra si muoveva siccome la sua teoria non era stata confermata valeva meno di chi al riguardo non diceva niente.
Il motivo per cui prendiamo sul serio un appello come quello qui lanciato, e analizziamo con interesse, accuratezza e pazienza posizioni politiche che abbiamo già esaminato molte volte, è che abbiamo una linea con cui confrontarle, e che in questo confronto la linea che noi apertamente dichiariamo giusta è sottoposta a sperimentazione, perché nessuna verità è assoluta. Né è assoluta l’assenza di linea in chi dichiara di “dubitare di tutto”. Mao dichiara che “dubitare è lecito, dubitare di tutto non è lecito”. Da un lato quindi non è lecito, e dall’altro non è possibile: secondo Gramsci, ogni uomo ha una sua “filosofia”. Secondo queste premesse, quindi, chi dichiara di non avere una  linea o agisce secondo una linea di cui non ha conoscenza, e quindi è passivo, o ha una linea che non dichiara apertamente.]
(Anche qui bisogna sforzarsi di capire, e ci scusiamo se non siamo stati abbastanza espliciti: quel “vale meno” è riferito al fatto che, a nostro avviso, oggi bisogna cominciare a riconoscere che qualcosa nelle nostre concezioni e nei nostri metodi non funziona perché non porta ai risultati sperati. Il nostro non è un appello apologia dell’ignoranza e del navigare a cazzo, ma a fare un passo avanti per il superamento di concezioni e soprattutto metodi che non portano a risultati seri.)

Dobbiamo quindi studiare, confrontarci e definire un lavoro di lunga durata (una campagna, chiamiamola come ci pare) fatta sostanzialmente di incontri, confronti, proposte, tentativi di attività comuni, bilanci comuni, ecc. da cui individuare i canali di unione possibile. Non importa quanto doppio gioco verrà fuori sul campo del confronto. Ci saranno coloro che sono disponibili perché pensano di andare a pesca di militanti. Che importa! A volte anche noi stessi tenderemo a fare altrettanto. È nella natura delle attuali componenti del movimento comunista e noi non ne siamo immuni.
Lancio questo appello a tutti quei compagni che non si accontentano della situazione attuale del movimento comunista, che non sono pienamente soddisfatti dei risultati da esso complessivamente raggiunti e che riconoscono che la forza dei comunisti non è solo nelle idee, ma soprattutto nella pratica, da cui le idee si forgiano.
Potrei tentare di dilungarmi nel tentativo di ipotizzare i dettagli di un possibile inizio di lavoro comune. Ma ritengo che al momento l’appello a cercare di costruirlo, questo lavoro comune, sia quello che realmente serve. La testa di tutti coloro che sono realmente disposti a raccoglierlo o che riconoscono che questo appello è semplicemente espressione di una volontà più volte espressa anche da altri compagni e organizzazioni è una testa sufficientemente capace di dare risposte concrete al problema organizzativo. Il resto verrà sulla base dei primi passi compiuti.
Si tratti di una serie di incontri, assemblee, scambi di documenti, dibattiti aperti anche ai non organizzati, quello che si vuole: non nascondiamoci dietro la forma. Molti di noi sono abbastanza navigati per trovare la soluzione pratica più idonea, se c’è la volontà.

Nota 29
 [Il collettivo Aurora aspira a unire le forze comuniste per somma, e le pone come poli di pari forza, che se così fosse le cose non cambierebbero mai. Perciò dice che la teoria è importante ma lo è anche la pratica, che talvolta ci si unisce e talaltra ci si divide, e così via. L’unità dei comunisti dipende anche da loro, cioè dipende da quale posizione prenderanno. Si tratta di indicare loro che non devono prendere la “posizione del P-CARC” oppure la “posizione della Rete dei Comunisti”, ma la posizione che scoprono giusta, indipendentemente dal fatto che l’abbia scoperta l’uno o l’altro. L’importante è sapere se la terra gira o no, non se dobbiamo stare dalla parte di Galileo o del santo Uffizio.
Al di là della divergenza di opinioni, l’appello a unire le forze è positivo e quindi lo raccogliamo. L’esame di questi testi è testimonianza dell’interesse che abbiamo nella proposta. Invitiamo quindi in primis i promotori dell’appello a procedere, e a contattarci per approfondire la questione]

[1] Con ruolo rivoluzionario intendiamo sinteticamente il ruolo di influenza e di direzione sulle masse basato su un concreto e stretto legame del partito con esse e volto alla loro mobilitazione per l’abbattimento dell’ordinamento sociale esistente e la costruzione di un nuovo ordinamento sociale. L’attuale ordinamento sociale è basato sullo sfruttamento del lavoro salariato (sullo sfruttamento della stragrande maggioranza della popolazione) per l’interesse della classe che detiene la proprietà dei principali mezzi di produzione (la borghesia) e a scapito degli interessi delle masse. Il nuovo ordinamento sociale superiore è il comunismo: “dopo che è scomparsa la subordinazione asservitrice degli individui alla divisione del lavoro, e quindi anche il contrasto fra lavoro intellettuale e fisico; dopo che il lavoro non è divenuto soltanto mezzo di vita, ma anche il primo bisogno della vita; dopo che con lo sviluppo onnilaterale degli individui sono cresciute anche le forze produttive e tutte le sorgenti della ricchezza collettiva scorrono in tutta la loro pienezza, solo allora l’angusto orizzonte giuridico borghese può essere superato, e la società può scrivere sulle sue bandiere: Ognuno secondo le sue capacità; a ognuno secondo i suoi bisogni!” – K. Marx – F. Engels, Opere scelte, Editori Riuniti, Roma, 1962, pag. 962

Alcune considerazioni generali sul processo di ricostruzione del partito
Nella nota 45 (tratta più avanti all’interno del documento del (n)PCI pubblicato sul blog Quale partito comunista?) il compagno Babini afferma “Che la linea sia principale e che l’organizzazione segua ad esse è questione su cui il collettivo Aurora non concorda. Ecco una prima questione da affrontare, nel dibattito che il collettivo propone di avviare.”
Noi del Collettivo Aurora concordiamo sul fatto che il partito comunista non può essere fondato per mezzo di una fusione organizzativa a cui seguirebbe poi la definizione ideologica. Se è questo che si ricava dal nostro documento, non era nostra intenzione e quindi vuol dire che lo abbiamo scritto male. Vediamo di precisare meglio, dando risposta anche alle conclusioni della nota 40 (che per comodità riportiamo in fondo).
Bisogna fare una premessa: dobbiamo evitare lo schematismo, un prodotto del dogmatismo. I principi che hanno funzionato in passato in una determinata situazione non è detto che valgano oggi in un contesto differente. È eclettismo? No. Si tratta di applicare il materialismo dialettico alla situazione concreta. La classe operaia deve condurre l’attacco contro la borghesia, se la classe operaia non attacca la borghesia, non riuscirà mai a vincere la borghesia perché la sola difesa non crea di per sé le condizioni della vittoria, anche se è indispensabile per la classe operaia sapersi difendere dagli attacchi della borghesia. Se la classe operaia lascia in pace la borghesia si troverà progressivamente costretta ad arretrare e a perdere anche quanto già conquistato. Questa è una legge generale della lotta di classe, fa parte della strategia che la classe operaia deve adottare per condurre efficacemente la sua lotta per l’emancipazione dell’intera società. Questa legge non impedisce che in determinate situazioni la classe operaia debba assumere principalmente una posizione difensiva.
Strategia e tattica, linea e organizzazione, divisione e unità sono poli di contraddizioni che si sviluppano secondo i principi del Materialismo Dialettico: ognuno dei due poli in una determinata fase dello sviluppo del processo può passare da secondario a principale e viceversa. Affermazioni come “bisogna sempre essere all’attacco”, “viene sempre prima la linea e poi l’organizzazione”, “bisogna sempre prima dividersi per poi unirsi” sono affermazioni dogmatiche: il Materialismo Dialettico non insegna questo. Non insegna nemmeno che i processi sono meramente uno sviluppo sequenziale, un processo in cui c’è banalmente il prima e il dopo: prima si attacca e poi ci si difende, prima si definisce la linea e poi si costruisce l’organizzazione, prima ci si divide e poi ci si unisce. Questo è meccanicismo e, in fin dei conti, metafisica!
Il Materialismo Dialettico ci insegna invece che i poli di una contraddizione esistono sempre contemporaneamente nel fenomeno e si influenzano a vicenda: nella guerra esiste sempre l’attacco e la difesa ma, a seconda delle circostanze, dei fattori interni ed esterni al fenomeno guerra, l’attacco può essere l’aspetto principale e la difesa quello secondario e viceversa. In certi casi per poter attaccare con efficacia una roccaforte nemica bisogna evitare ad ogni costo, pur nel condurre l’attacco, di perdere determinate risorse (uomini, mezzi, armi, postazioni, ecc.) che vanno difese, appunto, ad ogni costo, anche a costo di rinunciare all’operazione di attacco, altrimenti lo stesso procedere dell’attacco si trasforma in una disfatta.
Il processo di costruzione del partito è un fenomeno caratterizzato anche dalla contraddizione linea/organizzazione. Senza una linea non è possibile costruire l’organizzazione a meno che per organizzazione non si intenda in realtà un gruppo di amici. Così come senza organizzazione la linea non è altro che aria fritta buona per i salotti borghesi. Un gruppo di compagni può essere convinto di possedere una buona concezione da cui ricava una giusta linea (chiamiamo impianto ideologico questo insieme: il termine è a nostro avviso adatto a indicare che nella teoria è inclusa anche la concezione dell’organizzazione), ma se non costruisce un’organizzazione che va oltre il suo essere un gruppo di compagni, il suo impianto ideologico non è altro che aria fritta buona per i salotti borghesi. La teoria non viene prima dell’organizzazione: è parte di essa. Un gruppo di compagni è già organizzazione con il suo impianto ideologico. Questo impianto ideologico sarà per forza di cose il riflesso dell’esperienza pratica che il gruppo di compagni vive, non potrà mai essere il riflesso dell’esperienza pratica di un vero partito comunista che dirige le masse (non le larghe masse, anche solo le masse ristrette che per forza di cose all’inizio non possono essere che tali.)
Se l’impianto ideologico del gruppo di compagni è adeguato alla situazione concreta e se il livello organizzativo di questo gruppo è adeguato a condurre esperienze pratiche di applicazione della sua teoria, allora il gruppo crescerà (se la crescita è nei suoi obiettivi!) e passerà ad un livello organizzativo superiore a cui corrisponderà (o dovrà corrispondere) un impianto ideologico superiore perché le condizioni concrete spingono a che questo impianto ideologico si adegui alla nuova situazione. Se il gruppo di compagni si dedica sempre e principalmente all’elaborazione teorica e non cresce organizzativamente (numero di militanti, livelli di direzione, intermedi e di base, strumenti, rapporto con le masse, ecc.) allora significa che qualcosa non funziona e che ideologicamente quel gruppo non sta tenendo conto delle leggi di sviluppo che il Materialismo Dialettico ci indica.
Cade proprio a fagiolo la citazione di Gramsci fatta dal compagno Babini nella nota 40, laddove Gramsci afferma che “Il problema generale politico, inerente all'assistenza e allo sviluppo del partito non era visto nel senso di una attività per la quale il partito dovesse tendere a conquistare le più larghe masse e ad organizzare le forze sociali necessarie per sconfiggere la borghesia e conquistare il potere, ma era visto come il problema della esistenza stessa del partito.”. Qui giustamente Gramsci, indicando un limite nel processo di ricostruzione, non distingue né temporalmente né ideologicamente (cioè fanno parte dello stesso problema) la ricostruzione del partito dopo la scissione dallo sviluppo del rapporto di questo con le larghe masse. Il PCd’I si trovò quindi impreparato a far fronte alla situazione non solo perché non aveva una giusta concezione, ma anche perché (anche a causa di una concezione errata del proprio ruolo, non operò per lo sviluppo del rapporto con le masse. Si occupò cioè soprattutto di se stesso, del suo interno. Non è forse il processo in corso in molte delle attuali componenti del movimento comunista (P-CARC compreso)?
Inoltre, nel brano citato Gramsci illustra i problemi che hanno impedito al PCd’I (alla sua direzione) di approfondire le questioni di concezione e di linea, afferma sì che si sono occupati principalmente di organizzazione anche per ragioni ideologiche, ma non afferma affatto che avrebbero dovuto prima occuparsi della linea e poi dell’organizzazione.
Oggi comunque parrebbe, stando alle dichiarazioni di noi tutti, che nessuno sottovaluti l’importanza del rapporto con le masse. Bene, è un passo avanti. Ma se questo non si traduce in pratica allora siamo sempre all’aria fritta!
Le soluzioni organizzative comportano sempre dei rischi. È inevitabile. Si tratta di capire quale livello organizzativo possiamo oggi costruire tra le forze in campo del movimento comunista stante il fatto che queste forze hanno tra loro divergenze ideologiche. Non dobbiamo unirci tanto per farlo, ma perché la situazione lo richiede, gli operai lo richiedono. A nostro avviso, ripetiamo, alcune divergenze non sono dirimenti, altre sì. In questo dibattito dobbiamo entrare nel merito non solo per precisare che cosa intendiamo noi, ad esempio, per crisi generale per sovrapproduzione di capitale, ma anche quali aspetti pratici comporta il fatto che noi abbiamo sulla crisi questa concezione e quell’altra organizzazione ne ha una differente. Fare un passo avanti.

Nota 40
[Gramsci scrive:
“Il nostro partito è nato nel gennaio 1921, cioè nel momento più critico sia della crisi generale della borghesia italiana, sia della crisi del movimento operaio. Ma la scissione, se era storicamente necessaria ed inevitabile, trovava però le grandi masse impreparate e riluttanti. In tale situazione l'organizzazione materiale del nuovo partito trovava le condizioni più difficili. Avvenne perciò che il lavoro puramente organizzativo, data la difficoltà delle condizioni in cui doveva svolgersi, assorbì le energie creatrici del partito in modo quasi completo.
I problemi politici che si ponevano, per la decomposizione da una parte del personale dei vecchi gruppi dirigenti borghesi, dall'altra per un processo analogo del movimento operaio, non poterono essere approfonditi sufficientemente. Tutta la linea politica del partito negli anni immediatamente successivi alla scissione fu in primo luogo condizionata da questa necessità: di mantenere strette le file del partito, aggredito fisicamente dalla offensiva fascista da una parte, e dai miasmi cadaverici della decomposizione socialista dall'altra.
Era naturale che in tali condizioni si sviluppassero nell'interno del nostro partito sentimenti e stati d'animo di carattere corporativo e settario. Il problema generale politico, inerente all'assistenza e allo sviluppo del partito non era visto nel senso di una attività per la quale il partito dovesse tendere a conquistare le più larghe masse e ad organizzare le forze sociali necessarie per sconfiggere la borghesia e conquistare il potere, ma era visto come il problema della esistenza stessa del partito.” (A. Gramsci, La costruzione del partito comunista, Einaudi, 1978, p. 89 in http://www.marxists.org/italiano/gramsci/26/02-partito.htm)
I problemi politici e ideologici verranno affrontati di seguito: la lotta tra due linee si imporrà per necessità. Il primo partito comunista quindi si costituisce non “per” fare la rivoluzione, ma “contro” la deriva del PSI, e su spinta della Rivoluzione d’Ottobre, quindi su spinta esterna. Per fare la rivoluzione avrebbe avuto necessità di una concezione adeguata, e quindi i nuovi comunisti avrebbero dovuto studiare, come aveva raccomandato di fare Lenin dicendo che non dovevano copiare l’esperienza russa. Attorno a quella concezione le masse si sarebbero aggregate, sulla base di quella concezione si sarebbero elevate.
Questa nota intende sottolineare il rischio di “cercare soluzioni organizzative quando i problemi di fondo sono ideologici”, presente in questo appello per unire le forze comuniste. Non ci si unisce solo perché “ci dobbiamo unire”, e per farlo non basta una buona volontà e “mettere da parte del divergenze”. Le divergenze invece vanno poste apertamente, il che non impedisce unità d’azione. Non si costruisce, tuttavia, un partito mettendo da parte le divergenze, che non sono astrazioni, ma questioni concrete per cui avanzare su una linea anziché su un’altra comporta tutti i rischi che un rivoluzionario e chi lo segue corre, rischi concreti, che riguardano la nostra incolumità e la nostra libertà. Basti considerare, al riguardo, le divergenze sulla questione della clandestinità.]


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