Andare a fondo dei
problemi e affrontarli da comunisti
[tratto da Resistenza n°7 luglio 2014 - Partito dei CARC]
“Quello
che dite mi sembra giusto. Voi proponete un piano d’azione coerente, inquadrato
nella storia del nostro paese e del movimento comunista e nel contesto
internazionale, lo spiegate mostrando le relazioni tra le classi e l’andamento
attuale delle cose e quello del passato. Rompe con l’atteggiamento di quelli
che si danno da fare nelle correnti lotte rivendicative e nelle proteste come
credono meglio, anche con buona volontà, prendono le posizioni più di sinistra tra
quelle in campo e sperano che prima o poi scoppi la rivoluzione e si instauri
il socialismo. Voi mostrate che a instaurare il socialismo si arriva con un
Partito che giorno dopo giorno usa le forze di cui dispone per attaccare dove,
tra gli appigli e le fessure che la società presenta, gli conviene attaccare
per reclutare nuove forze e poi con queste rilancia la guerra e così via di
seguito fino a rovesciare il rapporto di forze. E di appigli e fessure la
società attuale ne presenta! Impossibile darvi torto. Una cosa sola non mi
convince.
Come gruppo o corrente, voi esistete dagli ultimi anni ’80 quando Giuseppe Maj e compagni hanno iniziato a pubblicare la rivista Rapporti Sociali. I CARC esistono dal 1993. Il nuovo PCI esiste dal 1999 anche se formalmente è stato fondato solo nel 2004. La crisi della società italiana ha la gravità che descrivete. La sinistra borghese è allo sfascio. Borghesia imperialista e clero ogni giorno di più, in Italia e nel mondo, si dimenano furiosamente in un groviglio sempre più intricato di contrasti. Tuttavia voi, anche considerando tutto l’insieme di organismi che chiamate Carovana, dopo tanto tempo e nonostante il corso delle cose, siete ancora pochi, siete presenti in poche province, avete poca influenza e ancora meno seguito tra la classe operaia e le masse popolari. È questo che mi lascia perplesso, anche se quello che dite mi sembra giusto. Non è che c’è qualcosa di sbagliato che io non vedo? Perché avanzate così lentamente se avete ragione?”
E’
all’incirca questo che ci sentiamo dire spesso dopo conferenze, assemblee e
riunioni. Altri ce lo scrivono. Altri anche se non lo dicono lo rimuginano tra
di sé ed è un pensiero che li rode e li frena, li distoglie dal darsi senza
riserve alla lotta rivoluzionaria. Abbiamo quindi deciso di affrontare
apertamente la domanda anche su Resistenza. Abbiamo chiesto al compagno Ulisse,
Segretario Generale del (nuovo)Partito comunista italiano, se era disposto a
intervenire lui sulla questione. Riportiamo integralmente la risposta che ci ha
mandato. Invitiamo i nostri lettori e i compagni in generale a scriverci le
loro eventuali obiezioni e rilievi a quello che il compagno Ulisse ci ha
risposto, a porre le domande a cui cercano risposte. Pubblicheremo le lettere e
daremo risposte. Andare a fondo dei problemi fa parte del costume dei
comunisti: noi cerchiamo la verità come la cerca chi vuole a ogni costo venire
a capo di un’epidemia grave contro cui finora nessuno ha ancora trovato un
rimedio, benché il rimedio esista.
I
compagni che pongono quell’obiezione denotano un buon atteggiamento. Una
scienza della trasformazione della società borghese serve a trasformare la
società. In definitiva è la pratica che verifica che è giusta. Proprio la
pratica ha mostrato i limiti della concezione che ha guidato la II
Internazionale Socialista (1989-1914) e di quella che ha guidato i partiti
comunisti dei paesi imperialisti creati dalla I Internazionale Comunista.
Il
fallimento della I Internazionale Comunista, l’esaurimento della prima ondata
della rivoluzione proletaria iniziata giusto cento anni fa con la Prima Guerra
Mondiale, lascia un patrimonio di esperienze e di insegnamenti, ma anche molta
diffidenza. Alcuni si lanciano egualmente nella lotta e sono preziosi per un
verso. Altri si chiedono il perché del fallimento e sono preziosi per un altro
verso, se si lanciano nella ricerca e nella sperimentazione.
Il
(n)PCI ha cercato e scoperto i motivi per cui con la prima ondata non abbiamo
instaurato il socialismo in nessun paese imperialista e di conseguenza il
movimento comunista si è corrotto, sfasciato e disgregato. Li abbiamo esposti
nel Manifesto Programma (http://www.nuovopci.it/scritti/mpnpci/indicmp.html)
che abbiamo pubblicato nel 2008 e ripetuti nel resto della letteratura del
Partito disponibile sul sito Internet (www.nuovopci.it). Quindi non sto a
tornarci sopra.
Grazie
alle scoperte che abbiamo fatto e al patrimonio del movimento comunista
avanziamo, ma avanziamo lentamente. Siamo i primi a vedere che avanziamo
lentamente, a vedere quante occasioni per attaccare con successo sprechiamo, a
vedere che alcune occasioni neanche le abbiamo viste: a volte perché
intellettualmente non siamo ancora capaci di vederle, in altri casi perché
manca ancora quella volontà di vincere necessaria per vedere cose che non si
danno a vedere. La società borghese presenta molti punti in cui sarebbe per noi
vantaggioso attaccare. Oggi non solo sono ancora molti i punti in cui a torto
non attacchiamo e quindi non raccogliamo le nuove forze che ne deriverebbero,
ma addirittura lasciamo che una parte delle forze che sorgono indipendentemente
dai nostri attacchi, cioè spontaneamente,
si impantanino in paludi che ben conosciamo (fantasticherie della
sinistra borghese, opinioni correnti, luoghi comuni), da cui potremmo metterle
in guardia, preservarle, reclutarle e
impiegarle per condurre l’attacco su scala maggiore. Perché siamo così poco
efficaci?
Il
(n)PCI ha fatto grandi scoperte e proprio queste grandi scoperte ci dicono che
fare la rivoluzione socialista in un paese imperialista, praticare la strategia
della Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata (per capire di cosa si
tratta rimando al Manifesto Programma cap. 3.3) vuol dire costruire un partito
comunista che sappia essere Stato Maggiore della GPR. Cioè un partito
costituito da professionisti della rivoluzione socialista, da uomini dediti a
tempo pieno (quindi subordinando con decisione a questo i mille vincoli di
lavoro, familiari, economici e culturali con cui, in particolare proprio nei
paesi imperialisti, la borghesia e il clero vincolano ogni individuo alla
condizione e alla posizione che occupa nella società attuale) a imparare l’arte
della guerra:
1.
facendo la guerra; 2. attingendo dal patrimonio dell’esperienza storica e in
particolare dall’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria per
farla meglio, avendo ben chiaro che l’essenza della GPR è la mobilitazione
delle masse popolari e la conquista della loro mente e del loro cuore alla
causa dell’instaurazione del socialismo. E questo il Partito lo fa solo
conducendo le masse popolari di battaglia in battaglia, in un’azione pratica
sostenuta dalla sua direzione.
Che
individui cresciuti e formati dalla società borghese non sappiano di colpo
assumere, non siano pronti ad assumere questo ruolo è facile da capire. Basta
che ognuno guardi a se stesso: ai progressi che ha fatto da quando si è
impegnato nella Carovana e ai passi che esita a fare, che non ha ancora deciso
se è giusto e necessario fare.
Fare
il comunista è un’arte che si impara se si ha la ferma volontà di impararlo e
se ci si mette alla scuola del Partito.
Instaurare
il socialismo in un paese imperialista è l’impresa più grande che l’umanità
deve compiere ed è un’impresa nuova. È facile capire che per mobilitare le
masse popolari a compiere una simile impresa non bastano individui e organismi
che lavorano alla bell’e meglio, con le conoscenze che si ritrovano, a buon
senso, lavorandovi nel tempo libero, come permettono le condizioni di vita e di
lavoro, i limiti materiali, morali e intellettuali in cui gli operai e il resto
delle masse popolari sono costretti dalla borghesia e dal clero, nemici
irriducibili e avveduti di questa impresa, padroni dei mezzi di costrizione e
di manipolazione di cui la società dispone. Occorre imparare ed elaborare una
scienza che nessuna scuola borghese e clericale insegna. Occorre una condotta,
una disciplina, una dedizione alla causa a cui la società borghese non ci
educa. Noi comunisti dobbiamo trasformarci moralmente e intellettualmente per
diventare capaci di mobilitare e guidare le masse popolari su una strada del
tutto nuova per loro, educate a obbedire e ad essere comandate dai capitalisti
e dal clero. Che per curare gli ammalati occorra studiare medicina e dedicarsi
a questa professione, lo diamo per scontato. Una cosa analoga occorre per
guidare le masse popolari a fare la rivoluzione socialista.
Avanziamo
lentamente, perché imparare la teoria, i principi di una scienza è più facile
che applicarla concretamente traducendola in iniziative adeguate alle
condizioni particolari in cui operiamo. Ma ogni persona capace di pensare è in
grado di valutare quanto valga l’obiezione che, siccome praticare un’arte è più
difficile che apprendere i suoi principi, tanto vale non apprenderli. Noi
comunisti non ci arrendiamo di fronte alle difficoltà. Avanziamo lentamente,
perché per essere capaci di applicare e sviluppare la scienza della rivoluzione
socialista ognuno di noi deve cambiare molte sue abitudini e trasformare la sua
mentalità e questo è doloroso, combattere comporta sacrifici, vuol dire
rischiare la galera, ferite e morte.
I
comunisti sono quelli che non si arrendono di fronte a sacrifici e difficoltà.
Per applicare con successo la nostra concezione e svilupparla adeguatamente
occorre un Partito formato da organismi e compagni intellettualmente e
moralmente adeguati al compito che dobbiamo svolgere e lo stiamo costruendo
passo dopo passo. Perdiamo alcuni compagni, ma altri si aggiungono alle nostre
file.
Il
movimento comunista nel nostro paese è iniziato nella seconda metà
dell’Ottocento. I suoi promotori erano per lo più maestri di scuola, dottori,
avvocati, professori, giornalisti di buona volontà che si occupavano di
migliorare le condizioni delle masse popolari, alcuni si distinguevano poco da
borghesi e preti filantropi. Dal punto di vista dello sviluppo storico, la
formazione di vaste organizzazioni di massa degli operai e di altri lavoratori
è stato il loro principale risultato. Ma un simile movimento comunista alla
prova della prima crisi generale del capitalismo si è rivelato inadeguato a
instaurare il socialismo. La formazione di partiti comunisti (in Italia nel
1921) è stato un grande passo avanti. Era la scelta per la rivoluzione
sovietica e la rivoluzione internazionale: un enorme passo in avanti anzitutto
sul piano morale. Ora il Partito avrebbe selezionato e formato i propri
dirigenti e i propri membri. Ma non fu un cambiamento sufficiente. Gramsci lo
disse chiaramente già nel 1926 facendo il bilancio del III Congresso, pochi
mesi prima di essere arrestato e tenuto prigioniero fino alla morte: restava da
dare al Partito una concezione adeguata a farne lo Stato Maggiore della
rivoluzione socialista, restava da elevare intellettualmente i suoi membri e i
suoi organismi al livello dei compiti che dovevano svolgere. Guidato
dall’Internazionale Comunista il Partito resistette eroicamente al fascismo e
animò e diresse la Resistenza, ma quello che è avvenuto dopo la vittoria della
Resistenza ha confermato che il Partito non era adeguato a guidare le masse
popolari a instaurare il socialismo.
Ancora
oggi se sentite Cremaschi, i suoi soci della Rete 28 Aprile e della Rete dei
Comunisti, tutti gli altri maggiori esponenti della sinistra borghese che
godono tra le masse popolari di maggiore fiducia e prestigio e hanno maggiore
seguito di quanto ne abbiamo noi, non si va avanti, anzi si va indietro perché
le masse popolari non lottano. Ogni volta che uno di loro apre bocca si sente
la persona convinta che il punto debole
per la trasformazione della società sta nelle masse popolari che non lottano e
nella borghesia che è cattiva o non capisce le buone ragioni. Riducono le lotte
per l’emancipazione dalla borghesia e dal clero alle lotte rivendicative e alle
proteste. Più lotte, più conflitto è il massimo delle loro indicazioni. Non
hanno imparato le lezioni della prima ondata, sono legati da mille fili alla
borghesia e al clero, alla loro mentalità. Il problema delle masse popolari,
del loro movimento di emancipazione dalla borghesia e dal clero, è il livello intellettuale
e morale dei propri dirigenti.
Le
masse popolari possono dispiegare la loro combattività solo se si forma un
Partito comunista capace di dirigerle. Finché non abbiamo raggiunto questo
risultato, il fronte principale sta nella costruzione di un Partito di questo
genere. Noi non lo siamo ancora: il programma del (n)PCI oggi si chiama ancora
consolidamento e rafforzamento del Partito. Chiunque è impegnato nella nostra
lotta, si scontra ogni giorno ancora nelle nostre file, nelle file della Carovana,
tra i compagni che simpatizzano per noi,
-
con il dirigente che ammette i suoi limiti ma come uno che confessa i suoi
peccati al prete: non si assume la responsabilità di trarre valutazioni,
conclusioni e indicazioni rispetto a se stesso e ai compagni che dirige (il
loro stato ideologico, politico, morale e culturale e come elevarne il livello
e dirigerli a correggere i loro limiti ed errori);
-
con il membro di partito che rifiuta o recalcitra a intraprendere il processo
di Critica-Autocritica-Trasformazione della sua concezione del mondo, della sua
mentalità e in parte anche della sua personalità;
-
con il lavoratore che vuole essere comunista, ma anzitutto “tiene famiglia”, ha
la morosa o la mamma a cui accudire o qualche hobby a cui non vuole rinunciare;
-
con lo studente che vuole essere comunista, ma ancora più vuole laurearsi:
anziché studiare la rivoluzione socialista vuole imparare un mestiere che
probabilmente non eserciterà; in fondo spera di trovare una sua nicchia nella
società come è oggi e ha più fiducia in questo che nella rivoluzione
socialista;
-
con la casalinga che vuole essere comunista, ma anzitutto ha da accudire il
marito e i figli;
-
con il cassaintegrato e il disoccupato che vuole essere comunista, ma ancora
più sogna e spera di essere reintegrato in un posto di lavoro in produzione, ha
più fiducia in questo che nel lavoro rivoluzionario.
Superare
queste resistenze è il lavoro che ci occupa da quando abbiamo concluso, almeno
a grandi linee, il lavoro iniziato negli anni ’80, il bilancio della prima
ondata e tratto i suoi insegnamenti. È questo lavoro di trasformazione della
concezione del mondo, della mentalità e in parte anche della personalità di
quelli che vogliono essere comunisti che avanza lentamente, man mano che
impariamo a farlo meglio. È un lavoro di formazione, una scuola teorica e
pratica che proprio nei paesi imperialisti va contro la corrente spontanea e contro
il sistema di controrivoluzione preventiva (Manifesto Programma, cap. 1.3.3)
messo in campo dalla borghesia.
Certo,
chi vuole diventare comunista, oggi non ha la prova sperimentale che la nostra
scienza è vera. Solo il successo della rivoluzione socialista in Italia
dimostrerà sperimentalmente che noi vediamo giusto, sarà irrefutabile. Ma chi
sta ad aspettare che vinciamo, non contribuisce alla vittoria. Dopo che avremo
vinto, sarà chiaro che abbiamo ragione.
Contribuisce
alla vittoria chi già oggi studiando e provando si impadronisce delle nostre
verità e le usa, si mette anche lui a cercare con noi, diventa dei nostri,
entra a far parte della Carovana del (n)PCI, i più generosi si arruolano nel
Partito. Perché la verità non piove dal cielo, bisogna cercarla. Bisogna
imparare: nessuno nasce imparato e le scuole della borghesia e del clero non
insegnano né tanto meno educano a fare la rivoluzione socialista. Bisogna
partire da quello che di più avanzato già abbiamo: il
marxismo-leninismo-maoismo. Bisogna cercare insieme, perché chi cerca deve
confrontarsi con chi sta anche lui cercando: pensate a un medico che conosce il
patrimonio scientifico della medicina e sta cercando la cura per una malattia
sconosciuta, ma cerca da solo o si confronta solo con praticoni e stregoni. Il
legame organizzativo tra quelli che cercano e provano ogni scoperta, è
indispensabile.
Ma
è così in ogni impresa di una certa importanza che gli uomini compiono per la
prima volta. Afferrare i principi generali è indispensabile, ma è solo l’inizio
dell’impresa. Poi occorre applicarli ai casi particolari. A differenza di altre
imprese, quella di fare la rivoluzione socialista richiede che noi stessi ci
trasformiamo. Pensate a un bambino che ha imparato a scalare, ma scalare una
montagna richiede una forza che ancora non ha: deve quindi crescere e
allenarsi.
Chi
oggi ha imparato le lezioni della prima ondata sa che i comunisti devono
elevarsi moralmente e intellettualmente non solo al di sopra del livello a cui
sono la borghesia e il clero (da cui comunque escludono le masse popolari), ma
anche al di sopra del livello in cui la borghesia e il clero confinano le masse
popolari a cui noi apparteniamo. Dobbiamo imparare tante cose (che riguardano
sia il terreno intellettuale sia quello morale), che la borghesia e il clero
non insegnano, anzi insegnano il contrario. Gramsci parlava della riforma
intellettuale e morale che i comunisti dovevano promuovere. Le masse popolari
dovranno cambiare intellettualmente e moralmente: per essere padrone del paese,
costituire una società in cui “il libero sviluppo di ogni individuo è la
condizione del libero sviluppo di tutti” (Manifesto del partito comunista,
1848), occorre un livello intellettuale e morale che non si impara vivendo e
lavorando agli ordini dei capitalisti per valorizzare il loro capitale. La
massa della popolazione farà questa trasformazione grazie alla pratica della
lotta di classe, della rivoluzione socialista e poi della fase di transizione
che si aprirà dopo la conquista del potere. Noi comunisti dobbiamo farla prima,
solo così ci rendiamo capaci di essere oggi avanguardia organizzata della
classe operaia e del resto delle masse popolari, di avere una comprensione più
avanzata delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe e
di spingerla in avanti.
Molti
lottano quando capita, quando possono, come possono. Danno un contributo
prezioso, tanto più fecondo se noi comunisti lottiamo con continuità e con
scienza e quindi predisponiamo il contesto in cui anche la loro lotta sia
efficace e feconda. Riunire e formare un simile partito è un’impresa nuova che
avanza, contro il sistema di controrivoluzione preventiva che la borghesia ha
instaurato nei paesi imperialisti, controcorrente. Alcuni successi li abbiamo
ottenuti: avanzeremo tanto più velocemente quanto più miglioreremo il nostro
sistema di formazione.
Lenin ha illustrato chiaramente i motivi del
fallimento dei partiti europei della II Internazionale Socialista, nello
scritto Il fallimento della II Internazionale (maggio-giugno 1915, Opere, vol.
21).
In particolare nella parte VII dello scritto illustra
i motivi per cui i partiti europei non erano adatti a fare la rivoluzione nella
situazione rivoluzionaria creata dalla Guerra mondiale iniziata nell’agosto
1914.
Nelle parti VIII e IX dello scritto indica la
trasformazioni che la sinistra di quei partito avrebbe dovuto fare per far
fronte ai propri compiti.
Analoghe e più concrete indicazioni Lenin le dà negli
scritti degli anni 1916-1917 riferiti al Partito socialista svizzero (di cui
Lenin divenne membro) raccolti nell’opuscolo La situazione rivoluzionaria in
sviluppo e i compiti dei partiti comunisti dei paesi imperialisti
(www.nuovopci.it).
I partiti socialisti europei affrontavano problemi per
molti aspetti non dissimili da quelli che noi affrontiamo oggi. Quindi la
lettura di questi scritti di Lenin è illuminante per chi sa pensare con la
propria testa.
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