da Resistenza 11/12 – 2015 del Partito dei
CARC
Nei numeri scorsi abbiamo accennato spesso
alle quattro principali tematiche che come Carovana del (n)PCI poniamo come
punto di partenza per il dibattito tra comunisti italiani e di altri paesi per
contribuire alla rinascita del movimento comunista. Abbiamo provato a
sintetizzarli in questo articolo, con l’ambizione che sia un passo per
contribuire a quel dibattito franco e aperto con partiti, organizzazioni e
singoli che vogliono costruire la rivoluzione socialista nel nostro paese. Il
testo completo dell’articolo che abbiamo riassunto è consultabile sul sito del
(nuovo)PCI.
La prima questione su cui dobbiamo
ragionare è il bilancio della prima ondata della rivoluzione proletaria e dei
primi paesi socialisti che essa ha creato. Il movimento comunista nel secolo
scorso ha raggiunto i risultati: 1. il campo socialista nel quale viveva circa
un terzo dell’umanità, 2. la distruzione del sistema coloniale, 3. le grandi
conquiste di civiltà e benessere nei paesi imperialisti. Tuttavia bisogna
chiedersi come mai dopo un periodo di progresso i primi paesi socialisti sono
decaduti fino a crollare? Come mai dopo questo periodo di vittorie il movimento
comunista è entrato in crisi? Ed infine, come mai il movimento comunista non è
riuscito ad instaurare il socialismo nei paesi imperialisti?
Studiando l’esperienza dei primi paesi socialisti, trascuriamo la denigrazione
sistematica fatta a ragion veduta (devono scongiurare il ritorno!) dalla
borghesia, dal clero e da loro scimmiottatori alla Bertinotti. Tralasciamo
anche i giudizi di chi “butta il bambino assieme all’acqua sporca” liquidando
le esperienze vittoriose come “capitalismo di Stato” o altre simili idiozie
socialdemocratiche. Consideriamo invece i compagni che vogliono fare una seria
valutazione di ciò che sono state quelle esperienze. Tra questi alcuni
affermano che il fallimento dei primi paesi socialisti è dovuto principalmente
alla forza degli imperialisti. Altri sostengono che i primi paesi socialisti
sono falliti a causa del tradimento di alcuni dirigenti. Altri che sono falliti
perché caduti in mano a “burocrazie” che li hanno fatti degenerare. Noi invece
partiamo dalla tesi di Marx che i comunisti sono coloro che hanno una
comprensione superiore delle condizioni, forme e risultati della lotta di
classe. Quindi sosteniamo che la causa del fallimento dei primi paesi
socialisti è da ricercarsi all’interno del movimento comunista, nello specifico
negli errori e nei limiti della sinistra di quei partiti comunisti che hanno
fatto la rivoluzione socialista, ossia di quei dirigenti che nella maniera più
sincera e combattiva lavoravano per far avanzare la transizione di quei paesi
verso il comunismo.
Gli errori e limiti di comprensione da
parte della sinistra hanno fatto sì che i revisionisti moderni, a partire da
Kruscev in Unione Sovietica e da Deng Xiaoping in Cina, prendessero le redini
di quei paesi indirizzandoli sulla via della restaurazione del capitalismo.
Resta ovviamente da cercare quali sono stati nello specifico di ogni caso i
limiti della sinistra dei partiti comunisti. Questo è il nostro criterio di
ricerca coerente con la concezione comunista del mondo.
Lo stesso principio e il conseguente
criterio di ricerca valgono sia per quanto riguarda la costruzione della
rivoluzione socialista nei paesi imperialisti che per la crisi del vecchio
movimento comunista: è principalmente a causa degli errori e limiti nella
comprensione delle condizioni, forme e risultati della lotta di classe che i
Pietro Secchia del nostro e degli altri paesi non sono riusciti a far avanzare
il movimento comunista.
Le tesi dell’onnipotenza del nemico, del
tradimento dei dirigenti o di burocrazie manovratrici sfumano di fronte alla
realtà: quando la classe operaia e le masse popolari marciavano verso il
comunismo, non c’era forza del nemico, dirigente corrotto o burocrati che
impedissero la sua avanzata.
Quali insegnamenti ricaviamo dal “vecchio”
movimento comunista e come traduciamo quegli insegnamenti nella situazione
odierna: ecco un fattore determinante per la rinascita del movimento comunista
italiano ed internazionale, un tratto fondamentale delle basi su cui rinasce il
movimento comunista.
La seconda questione da prendere in
considerazione attiene alla fase storica in cui viviamo. La crisi in corso è
sotto gli occhi di tutti, l’interrogativo da porci è: questa è una crisi
generale di sovrapproduzione assoluta di capitale, che quindi investe tutte le
sfere della società (la crisi economica sviluppa una crisi politica,
ambientale, intellettuale e morale), oppure una crisi ciclica? La risposta a
questa domanda ne determina un’altra: siamo o non siamo in una situazione
rivoluzionaria in sviluppo?
Assodato che siamo (ormai da circa metà
1800) nella fase imperialista come fase suprema del capitalismo, ossia che non
esiste più il “libero scambio” tra capitalisti ma sia nel campo delle
produzioni di merci che in quello finanziario esistono grandi gruppi
monopolistici che si spartiscono il mondo, e che a livello politico la
borghesia ha esaurito il suo ruolo civilizzatore mettendosi a recuperare
vecchie anticaglie feudali come il Vaticano per mantenere il proprio dominio,
allora le crisi cicliche diventano piccole oscillazioni nell’andamento degli affari
per le quali i capitalisti hanno messo a punto antidoti, e ci troviamo ad
affrontare crisi generali che si risolvono solo con la guerra o la rivoluzione
socialista.
Con buona pace degli economisti
neokeynesiani e le loro misure di “ridistribuzione del reddito”: la prima crisi
generale avvenuta nel secolo scorso si è risolta solamente con due guerre
mondiali e la creazione del campo socialista, altroché New Deal!
Dopo un periodo di ripresa,
indicativamente dal 1945 al 1975, il capitalismo è precipitato di nuovo in una
crisi generale dove la finanziarizzazone dell’economia e la globalizzazione
sono misure che i capitalisti hanno preso perché l’economia reale non basta più
per la valorizzazione del loro capitale: oggi la finanza oltre ad essere
diventato il principale campo di investimenti dei capitalisti, soffoca
l’economia reale dalla quale tuttavia dipende e nessuna soluzione di “uscita
dai circoli della finanza mondiale” o di politiche keynesiane potrà risolvere
la situazione.
Questa situazione di crisi generale crea
una situazione rivoluzionaria in sviluppo che non significa che le azioni
rivoluzionarie delle masse caratterizzano il nostro tempo, ma significa che
l’assetto politico interno e il sistema di relazioni internazionali sono
precari, che sia la classe dominante sia le classi oppresse devono trovare un
nuovo modo di essere e di vivere. Questa situazione pone all’ordine del giorno
solamente due possibili uscite dalla crisi, in ogni singolo paese ed a livello
internazionale:
O la mobilitazione rivoluzionaria delle
masse popolari dirette da partiti comunisti all’altezza dei propri compiti;
cioè da partiti che osano pensare che la rivoluzione socialista è possibile e
che capiscono che spetta ai comunisti costruirla.
O la mobilitazione reazionaria delle masse
popolari: mettendo masse contro masse, paesi contro paesi fino a raggiungere il
picco massimo, ossia la guerra.
L’interpretazione che diamo della crisi
non è quindi un esercizio di stile, ma caratterizza l’attività dei partiti
comunisti nella loro tattica e strategia.
Il terzo tema è quello che attiene a quali
sono le caratteristiche del regime politico vigente nel nostro paese.
Alcuni compagni sostengono che oggi siamo
in un regime di “moderno fascismo” o urlano alla onnipotenza della borghesia quando
si trovano di fronte ad un attacco repressivo o a sistematiche intimidazioni e
controlli da parte delle forze dell’ordine. Questi compagni non tengono conto
di due aspetti che gli permetterebbero di comprendere le caratteristiche di
quello che noi chiamiamo regime di controrivoluzione preventiva. Uno attiene al
fatto che la borghesia nei paesi imperialisti non riesce a governare se non ha
un minimo appoggio o l’indifferenza delle masse popolari, l’altro riguarda il
fatto che la borghesia deve impedire l’organizzazione dei comunisti e che essi
si leghino alle masse popolari.
Prendendo in considerazione questi due
aspetti, possiamo evincere che quelle teorie di “moderno fascismo” non stanno
in piedi e che esiste un regime politico specifico che la borghesia ha
instaurato per mantenere il proprio dominio nei paesi imperialisti: il regime
di controrivoluzione preventiva.
Questo regime particolare dei paesi
imperialisti nasce negli USA intorno al 1945 quando la borghesia americana
doveva far fronte all’avanzata del movimento comunista negli USA e ha avuto
successo a causa dei limiti dello stesso movimento comunista americano e
internazionale e si traduce in cinque pilastri fondamentali, da declinare per
le specificità del singolo paese imperialista.
1. Mantenere l’arretratezza politica e in
generale culturale delle masse popolari, diffondendo tra le masse una cultura
d’evasione dalla realtà, teorie, movimenti e occupazioni che distolgono
l’attenzione, l’interesse e l’attività delle masse popolari dagli antagonismi
di classe e le concentrano su futilità (diversione); fare confusione e
intossicazione con teorie reazionarie e notizie false cercando di impedire la
crescita della coscienza politica con un apposito articolato sistema di
operazioni culturali.
2. Soddisfare le richieste di
miglioramento che le masse popolari avanzano con più forza; dare a ognuno la
speranza di poter avere una vita dignitosa e alimentare questa speranza con
qualche risultato pratico; avvolgere ogni lavoratore in una rete di vincoli finanziari
(mutui, rate, ipoteche, bollette, imposte, affitti, ecc.) che lo mettono ad
ogni momento nel rischio di perdere individualmente tutto o comunque molto del
suo Stato sociale, se non riesce a rispettare le scadenze e le cadenze
fissategli.
3. Sviluppare canali di partecipazione
delle masse popolari alla lotta politica della borghesia in posizione
subordinata, al seguito dei suoi partiti e dei suoi esponenti. La
partecipazione delle masse popolari alla lotta politica della borghesia è un
ingrediente indispensabile della controrivoluzione preventiva. La divisione dei
poteri, le assemblee rappresentative, le elezioni politiche e la lotta tra vari
partiti (il pluripartitismo) sono aspetti essenziali dei regimi di
controrivoluzione preventiva. La borghesia deve far percepire alle masse come
loro lo Stato che in realtà è della borghesia imperialista.
4. Mantenere le masse popolari e in
particolare gli operai in uno stato di impotenza, evitare che si organizzino,
fornire alle masse organizzazioni dirette da uomini di fiducia della borghesia,
da uomini venali, corrompibili, ambiziosi, individualisti; impedire che gli
operai formino organizzazioni autonome dalla borghesia nella loro struttura e
nel loro orientamento.
5. Reprimere il più selettivamente possibile i comunisti. Impedire ad ogni costo che i comunisti abbiano successo: quindi che moltiplichino la loro forza organizzandosi in partito; che elaborino e assimilino una concezione del mondo, un metodo di conoscenza e di lavoro e una strategia giusti; che svolgano un’attività efficace; che reclutino; che affermino la loro egemonia nella classe operaia. Corrompere e cooptare i comunisti, spezzare ed eliminare quelli che non si lasciano corrompere e cooptare.
5. Reprimere il più selettivamente possibile i comunisti. Impedire ad ogni costo che i comunisti abbiano successo: quindi che moltiplichino la loro forza organizzandosi in partito; che elaborino e assimilino una concezione del mondo, un metodo di conoscenza e di lavoro e una strategia giusti; che svolgano un’attività efficace; che reclutino; che affermino la loro egemonia nella classe operaia. Corrompere e cooptare i comunisti, spezzare ed eliminare quelli che non si lasciano corrompere e cooptare.
Con l’entrata della crisi nella sua fase
acuta e terminale nel 2008, il regime di controrivoluzione preventiva ha subito
mutamenti.
Il primo pilastro rimane in piedi, si
perpetua la manipolazione delle coscienze (chiese, credenze, pregiudizi,
sette), la promozione di condotte individualiste (soddisfacimento dei bisogni
più immediati, raggiungimento di futili piaceri, cultura “dello sballo” e
dell’evasione), l’intossicazione dell’opinione pubblica con notizie false o
distorte.
Il secondo pilastro vacilla, è in corso
non solo l’eliminazione rapida di quanto restava delle conquiste di civiltà e
benessere strappate dalle masse popolari quando il movimento comunista era
forte nel nostro paese e nel mondo, ma anche l’adozione di misure “senza se e
senza ma” che lasciano mano libera alla borghesia e al clero nella gestione
della società e ai padroni nella gestione delle aziende.
Il terzo pilastro si sta sgretolando per
opera della classe dominante stessa e del M5S, il teatrino della politica
borghese salta e le conseguenze si manifestano nella reiterata violazione della
Costituzione, nelle misure per impedire la partecipazione delle masse popolari
alle competizioni elettorali (leggi elettorali, sbarramenti, premi di
maggioranza), in un uso smodato e crescente del voto di fiducia e decreti legge
in Parlamento, nella violazione degli esiti referendari, ecc. I paramenti della
“democrazia borghese” non sono più utili, non concorrono più al mantenimento
della pace sociale.
Il quarto pilastro è corroso dal crescente
discredito dei sindacati di regime e dal ruolo assunto dai sindacati
alternativi e di base e dalle organizzazioni operaie e popolari.
Il quinto pilastro muta, la repressione da
selettiva e circoscritta sta assumendo un carattere di massa: dal pestaggio di
lavoratori in lotta, all’uso della legislazione speciale e antiterrorismo
contro i movimenti popolari, al ricorso alle sanzioni pecuniarie amministrative
e penali, alla limitazione o privazione della libertà personale.
Delle caratteristiche di questo regime
politico, i partiti dei comunisti nei paesi imperialisti non possono non
tenerne conto nella loro azione e nelle loro caratteristiche.
La quarta tematica con cui dobbiamo
misurarci attiene a quale strategia utilizziamo per fare la rivoluzione
socialista nel nostro paese.
A fronte delle valutazioni e dei
ragionamenti che sono emersi nei punti precedenti, noi sosteniamo che la via
universale per la costruzione della rivoluzione socialista è la guerra popolare
rivoluzionaria di lunga durata, ossia una guerra di lungo periodo che attiene
principalmente alla conquista del cuore e della mente delle masse popolari, che
parte dalla fondazione del partito che si pone nell’ottica di condurre tale
guerra e tappa dopo tappa, campagna dopo campagna, scalza il potere della
classe dominante costruendo nel paese il nuovo potere.
Questa strategia è a grandi linee la
stessa che di fatto seguì Lenin e di cui l’insurrezione dell’Ottobre 1917 a Pietrogrado fu una
tappa. E’ quella che Gramsci chiama “guerra di posizione”. E’ quella che Mao
sintetizzò dopo che anch’egli riconobbe di aver agito alla cieca. E’ quella che
organizzazioni comuniste nel nostro paese hanno attraversato in maniera
inconsapevole arrivando alle porte della guerra civile (Biennio Rosso,
Resistenza Partigiana, Brigate Rosse). E’ quella che organizzazioni di altri
paesi (Partito comunista del Perù) hanno condotto consapevolmente.
La strategia (e di conseguenza la tattica)
che utilizziamo dipende in maniera precisa da quale bilancio facciamo dei primi
paesi socialisti, da quale analisi facciamo della crisi e da quale regime
politico vige nel nostro paese.
In definitiva, ancora una volta, l’aspetto
determinante che permette a noi comunisti di vincere (e di unirci) è la
concezione del mondo che ci guida, ossia quanto facciamo bilancio
dell’esperienza e quanto comprendiamo condizioni, forme e risultati della lotta
di classe, ossia quanto riusciamo a trovare la strada specifica per costruire
la rivoluzione socialista nel nostro paese.
Rinnoviamo l’invito a tutti quei compagni
e quelle organizzazioni che hanno a cuore la sorte della rivoluzione socialista
nel nostro paese, a costruire iniziative e dibattiti insieme a noi, dibattendo
su questi quattro temi (ma anche altri) in modo da sviluppare la rinascita del
movimento comunista nel nostro paese e nel mondo.
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