15.09.2019
Quarta puntata
de Sul fallimento del rafforzamento
del Centro clandestino del (n)PCI
Che cosa non va “al
di là di ogni ragionevole dubbio”
Rispondere
ad una critica con una critica
Entriamo
qui nel merito di un altro errore e limite proprio del centro del (n)PCI, ed in
particolare del compagno Ulisse, il segretario. Limite ed errore che però si
manifesta spesso anche nei vertici delle altre organizzazioni del movimento
comunista e specialmente nel “partito gemello” del (n)PCI: il Partito dei CARC.
Esso
consiste nel non fornire praticamente mai risposte esaurienti, pertinenti e
puntuali alle critiche ricevute. La risposta più comune, quando non è il
silenzio, è il ribattere con considerazioni generali e generiche accusando chi
critica di non trattare il tema fondamentale della fase politica attuale,
ovvero: “quello che dici non è importante perché non riguarda gli aspetti
fondamentali del compito dei comunisti nell’attuale fase storica”. Anche questo
limite rientra nel rispondere alle
critiche con delle critiche che abbiamo già trattato. Ma quello che ci
interessa osservare qui è il metodo opportunista che permette a chi è criticato
di svicolare dalle proprie responsabilità.
Nell’attività
di un partito è naturale che vi siano momenti in cui è necessario affrontare i
temi generali, la strategia e momenti in cui vanno affrontate le questioni
tattiche, i dettaglio, il metodo di lavoro, gli aspetti organizzativi, ecc.
Anzi: solitamente la maggior parte della vita concreta di un partito è fatta di
operazioni e manovre tattiche, di dettaglio; ed è proprio in esse che si
sperimenta, nel concreto, l’applicazione della strategia, la giustezza delle
analisi generali. Rimandare all’infinito la trattazione dei problemi
particolari porta inevitabilmente fuori strada, perché il generale vive nel
particolare. Questo a maggior ragione se si afferma, come fa il (n)PCI, che
l’analisi e la linea generale sono già definite e giuste “al di là di ogni
ragionevole dubbio” (sic!).
Nel
corso della terza lotta ideologica, l’accusa che venne mossa ai compagni che
avanzavano critiche in merito al metodo di lavoro, di concezione della formazione
dei quadri, di negazione del centralismo democratico, di concezione errata
della lotta tra le due linee, fu quella di non essere d’accordo sulla linea di costruzione del Governo di Blocco Popolare,
accusa che non aveva senso anche perché in quella fase si era appena all’inizio
della impostazione di questa linea e molti aspetti non erano nemmeno ancora
stati discussi. Però quel tipo di risposta alla critica era come dire: “tu non
sei d’accordo sulla linea generale ma non lo vuoi ammettere, quindi trovi delle
scuse per creare problemi e per non applicarla”.
Ancora
più subdolo e grave è invece un altro aspetto che si lega a questo: quello di
usare la clandestinità (e la correlata necessaria compartimentazione) per fare
il bello e il cattivo tempo senza assumersi nessuna responsabilità, senza
rispettare le istanze, senza rendere conto a nessuno di decisioni, interventi,
tattiche e manovre.
La
clandestinità, in certe fasi, è una caratteristica necessaria per un partito
comunista. Ma la clandestinità è una cosa concreta, le sue caratteristiche
dipendono da fattori contingenti che mutano nel tempo. E’ ovvio che i compagni
che non sono in relazione stretta con il partito clandestino hanno solo
elementi generali per giudicare l’operato del partito. Chi è stato membro del
centro clandestino può dire di più, ma passerebbe per delatore se si
addentrasse nei dettagli logistici. Bene: non per questo non è possibile
denunciare limiti ed errori. Starà a chi lavora in quell’ambito raccogliere le
critiche e intervenire. Se non lo fa vuol dire che non gliene importa nulla del
partito.
Sulla
disponibilità a mettersi nelle mani del partito
Il
passaggio di Angelo e Chiara è stato tanto pubblicizzato dal (n)PCI e dal
P-CARC che viene da supporre che sono pochissimi (se non unici) i compagni con
un ruolo pubblico disposti a fare altrettanto. Se Angelo e Chiara, e prima di
loro Dario, erano fra i pochissimi disponibili a passare in clandestinità,
allora non li si può certo accusare di avere poco slancio, poca attitudine a
modificare le proprie abitudini, ad affrontare difficoltà. Se questi sono stati
i loro limiti, se non li si vede invece come pregi che sono stati mal raccolti,
allora che si provi qualcun altro a fare altrettanto, in particolare qualcuno
tra i grandi dirigenti: così dimostrerebbero come si fa!
Chi
è esterno al centro clandestino, quindi, un giudizio generale sull’operato del
centro del (n)PCI se lo può fare chiedendosi questo: come mai dopo tanti anni
(20) dalla costruzione del primo nucleo di quello che diventerà il centro
clandestino, il compagno Ulisse non è ancora stato capace di formare
adeguatamente i già pochi compagni che si erano dati disponibili a lasciare la
vita “ordinaria” (lavoro, casa, affetti, figli, coniugi, compagni, amici,
conoscenti, abitudini, ecc.) per entrare in clandestinità?
Il
continuo fallimento del rafforzamento del centro è un elemento anche generale
su cui ogni compagno può dire la sua. Non dico di intervenire su dettagli che
non si conoscono, ma almeno di esprimersi in merito al fatto che il compagno
Ulisse, a cui il comitato centrale del partito (cioè un organismo a lui
superiore) ha affidato un compito di gestire e sviluppare il centro
clandestino, continua a fallire nel suo tentativo e continua ad addossare ogni
colpa ai suoi diretti. Quantomeno bisognerebbe avere dei dubbi sulle sue
capacità di scegliere i compagni! Oppure si tratta effettivamente di altro? Sì:
il problema è che il compagno Ulisse non è in grado di lavorare nel collettivo,
ha una concezione del suo ruolo simile a quella che potrebbe avere un capo di
una setta. Nel trattare con i membri del partito adotta una direzione a raggiera (vedi oltre), non concentrica,
non tiene conto cioè delle istanze, delle competenze, del ruoli assegnati. Fa e
disfa a suo piacimento senza adottare un metodo né scientifico né tantomeno
comunista. Infatti non è ancora stato capace di raccogliere adeguatamente i già
pochi compagni che erano disposti a dare tanto.
D’altra
parte consideriamo che su Resistenza (organo
del Partito dei CARC) dello scorso febbraio veniva scritto: “Conosciamo bene i
compagni Angelo e Chiara. Sappiamo che quando scrivono che ce la metteranno
tutta per fare un buon lavoro dalla loro postazione di lotta non stanno
scrivendo una frase fatta”. Se nemmeno queste affermazioni sono una frase fatta
messa dal P-CARC sul loro organo, allora c’è qualcosa che non torna: da una
parte viene disfatto quello che dall’altra si costruisce! Ed effettivamente il
dubbio viene rafforzato pensando alle sorti toccate al Fronte Popolare per la Ricostruzione del Partito Comunista o alla
redazione della Casa Editrice Rapporti
Sociali (chi ha vissuto nel P-CARC quegli anni sa bene di cosa parliamo),
più in generale alla formazione dei quadri. Ma consideriamo sotto la stessa
lente anche lo sviluppo e poi il declino dei Comitati di Partito, che avevano
raggiunto il massimo sviluppo sotto la direzione del compagno Dario e poi sono
quasi scomparsi.
Di
casi per porsi almeno delle domande ve ne sono parecchi: bisogna avere però il
coraggio e l’onesta da comunisti per voler vedere e per voler porre rimedio a
ciò che non funziona.
Gli
errori nel metodo di direzione
Un
limite importante del metodo di direzione di Ulisse sta nel non uso del
collettivo. Ulisse probabilmente ha una grande fiducia che dicendo le cose
giuste e nel modo giusto un individuo si convince di quello che lui gli dice e
migliora. Il ragionamento sta in piedi. Perché però Ulisse (e con lui il
Partito) dice tante cose da tanti anni e molte di queste, per quanto siano
state ripetute a lungo e in mille modi, la maggior parte dei compagni sembra
non capirle e/o non usarle per cambiare e migliorare?
Partendo
dallo stesso presupposto assiomatico del (n)PCI che la linea è giusta “al di là
di ogni ragionevole dubbio”, allora il problema sta principalmente nel metodo
di direzione adottato.
I
compagni sono inquadrati in collettivi ma l’intervento di Ulisse è
principalmente sui singoli in opposizione al lavoro del collettivo, saltando i
vari livelli di direzione e intervenendo direttamente sul problema, a qualsiasi
livello esso sia.
Che
cosa succede adottando questa direzione a
raggiera come strategia nel metodo di direzione? Non è detto che in alcuni
casi non funzioni. Ma è un metodo eccezionale, per casi d’emergenza. Non da
usare sistematicamente, come metodo ordinario. Il risultato di tale metodo di
direzione è la confusione, la mancata formazione dei quadri, la negazione del
centralismo democratico e la falsificazione della lotta ideologica.
Il
funzionamento di un collettivo di Partito non è semplicemente elaborazione,
dibattito, definizione della linea, divisione dei compiti, bilancio collettivo,
elaborazione ad un livello più alto, ecc. È anche lotta ideologica e
formazione. Supponiamo che i compagni X e Y abbiamo due posizioni differenti su
una questione. Ulisse interviene su Y dicendogli che X sbaglia, che la sua
posizione non deve passare, che è confuso e quindi è normale che non riesca a
vedere le cose nel giusto modo, che bisogna operare così e cosà per far valere la
posizione di Y, ecc. Con un intervento del genere, cosa ne possono fare (non solo
X e Y, ma lo stesso collettivo di cui fanno parte) della divergenza tra loro?
Come può combattere le sue lotte ideologiche, come può formarsi questo
collettivo? Come può rafforzarsi l’unità dei suoi membri?
Un
caso eclatante è quello di K. Ulisse ha deciso che K rappresenta la destra. Lo
ha fatto con valutazioni sue. Non sto trattando qui se sono giuste o meno: io
non le condivido, ma supponiamo per un momento che lo siano. Ulisse dà
indicazione ai nostri non in clan di comportarsi, di muoversi, di lavorare in
conformità con questa sua conclusione. E lo fa anche inviando lettere
personalizzate il cui mittente non è nemmeno chiaro. I compagni dovrebbero
prendere decisioni senza conoscere i fatti concreti, senza nemmeno poterli
discutere! Non c’è stato un dibattito tra loro, non c’è stata una lotta per far
valere le posizioni giuste, per determinare una maggioranza e una minoranza.
Nulla che abbia a che fare con l’adozione del Centralismo Democratico e con il dibattito
franco e aperto. Ulisse analizza, decide chi sono i nemici e gli amici [la
destra e la sinistra], dà direttive su come schierarsi e poi spera che tutto
funzioni. Infatti … non funziona!
Ma
quand’anche funziona è grazie alla tendenza ad essere solo dei gregari e non
dei comunisti propria, purtroppo, di tanti compagni. Il modo giusto di
contrastare l’influenza borghese nelle nostre fila è quella di far muovere in
battaglia i compagni, non quella di dire cosa devono pensare e se pensano altro
allora sono fuori!
Affinché
si sviluppi un sano dibattito che favorisce la crescita è fondamentale che
siano rispettate le istanze diverse, soprattutto di organizzazioni diverse.
Perché un intervento diretto da parte di un partito clandestino su un partito
pubblico per forza di cose fa saltare i rapporti tra le istanze, fa saltare
ruoli e responsabilità, fa saltare la formazione dei quadri. Il (n)PCI ha
sempre dichiarato che il suo intervento su organismi diversi deve essere
improntato, giustamente, sulla linea di massa. Questo significa che anche i
membri del partito interni alle organizzazioni pubbliche, non devono avvalersi
del loro ruolo organizzativo nel partito clandestino, ma prendere posizione e
promuovere il dibattito all’interno dell’organizzazione pubblica, rispettandone
istanze, ruoli e funzionamento. Di questo, come abbiamo già illustrato, il
segretario Ulisse fa carta straccia.
La
linea è giusta… nonostante non venga applicata
Molti
aspetti che si addentrano più nel dettaglio della vita del centro clandestino
del partito i compagni non li possono valutare perché la compartimentazione lo
impedisce. La mia esperienza mi porta oggi a giudicare che il metodo adottato
da quel centro clandestino - di cui è responsabile tutto il comitato centrale,
non solo Ulisse - non tiene conto di quanto in realtà si può fare per
coinvolgere più direttamente tutti i membri del partito. In ogni caso non è a
noi che dovete credere: che ogni membro del partito ragioni su questo: con
quali elementi potete decidere chi deve o non deve comporre il comitato
centrale? Come potete applicare una delle regole fondamentali del centralismo
democratico: elezione dal basso degli organi dirigenti?
Ulisse
risponde che bisogna guardare il generale. Se il (n)PCI ottiene buoni risultati
allora vuol dire che va bene. Anche il vecchio PCI otteneva buoni risultati
durante la resistenza: l’ha pure vinta! Ma noi abbiamo sempre detto che era
diretto dalla destra fin da allora. Quindi? I buoni risultati di una fase o di
un solo aspetto del lavoro non sono elementi sufficienti. Infatti quello che
oggi il (n)PCI fa è sostanzialmente la sola attività di propaganda. Ma la
rivoluzione socialista non è un pranzo di gala anche nel senso che non può
essere fatta solo di propaganda: il partito deve crescere, deve svilupparsi
organizzativamente, i suoi comitati devono crescere di numero, devono essere
composti da compagni sempre meglio preparati; il centro del partito deve
rafforzarsi. Tutto questo non succede e, anzi: ai tempi di Dario, in barba a
quanto affermò Ulisse allora, i CdP sono quasi scomparsi, i comunicati si sono
ridotti del 50% (anche la riduzione del lavoro di propaganda è indice di
debolezza organizzativa) e il centro fallisce le sue operazioni di
rafforzamento. Tutto questo è valutabile in una certa misura anche solo
osservando l’attività dal sito del (n)PCI. Fate voi! Giudicate da quello che
potete vedere. E se ci sono cose che non vi tornano chiedete chiarimenti a chi
di dovere. Vedrete che risposte otterrete, se ne otterrete.
Postilla.
Potete anche giudicare un piccolo dettaglio che si aggiunge alla serie: il
“compagno” Ulisse continua a chiamare la compagna Chiara “moglie di Angelo”
(vedi il Saluto all’attivo Federale
dell’8.09.19). Anche voi siete d’accordo che le compagne devono essere
appellate come mogli di, fidanzate di? Voi compagne cosa ne pensate? Siete
anche voi convinte che le donne del partito siano solo dei supporti affettivi,
fisici e/o logistici, ai compagni maschi?
E’
successo pure che quando ai compagni si chiedeva di destinare risorse e denaro
al partito, qualche massimo dirigente si è comprato casa e macchina. I più
attempati se lo ricorderanno.
In
un commento a questo dibattito ancora flebile che si sta sviluppando sulla
questione del fallimento del rafforzamento del centro clandestino del (n)PCI,
un compagno chiede giustamente quali siano le nostre proposte per superare i
limiti e le contraddizioni che abbiamo esposto. Noi diciamo che l’esperienza
del movimento comunista ci ha fornito il centralismo democratico per farvi
fronte, per ora è la risposta migliore che abbiamo. Però bisogna applicarlo e
bisogna che ogni compagno, a qualsiasi livello, lo applichi e pretenda che sia
applicato e che sollevi critiche in ogni occasione in cui ciò non si verifica.
In
ogni caso, cari compagni della carovana del (n)PCI, il punto importante non è
tanto convincervi delle nostre critiche o del fatto che gli esempi che
indichiamo siano veri o meno; questo lo può fare chi vi è stato coinvolto
direttamente e se ha sufficienti conoscenze e onesta arriverà almeno a porsi
qualche dubbio. Il punto importante però è che ognuno di voi si chieda
onestamente non tanto se quello che diciamo corrisponde al vero, ma piuttosto
se quello che dite voi corrisponde al vero! Supereremo molti scogli
dell’attuale movimento comunista quando cominceremo a comporlo di compagni che
vogliono pensare con la propria testa, con autonomia e coraggio
Questioni
generali sullo sviluppo del movimento comunista
Più
volte abbiamo affermato che tanti limiti ed errori che si sono manifestati
nella direzione dei (n)PCI e anche del P-CARC sono propri anche di altre
organizzazioni del movimento comunista.
Esiste
un problema generale contro cui i comunisti dei paesi imperialisti devono
scontrarsi: lo scarso legame con la
classe operaia, anche con le masse popolari più in generale, ma soprattutto con
la classe operaia. Questo è il problema principale, che determina anche il
prevalere di concezioni e metodi piccolo borghesi nelle nostre fila.
Le
organizzazioni del movimento comunista nei paesi imperialisti sono composte
principalmente da compagni di origine proletaria o piccolo borghese. In ogni
caso, cioè anche quando essi sono di origine proletaria, la loro storia e
l’ambiente in cui sono cresciuti ha risentito più dell’influenza borghese che
di quella proletaria. D’altra parte è la classe dominante che determina la
cultura dominante. Questo comporta che i compagni, soprattutto quelli che
svolgono un ruolo promotore e dirigente nella propria organizzazione, sono
compagni che hanno studiato, che si sono formati nelle scuole della società
borghese di cui fanno parte. Naturalmente questo non significa che le loro
concezioni sono lontane dal movimento comunista, tutt’altro: è proprio la
possibilità di studiare, di impossessarsi di strumenti che permettono di
ragionare con la propria testa, che fa di questi compagni i migliori elementi
nel movimento comunista dei paesi imperialisti. Non potrebbe essere altrimenti.
Questo corrisponde anche alla storia dei dirigenti comunisti Russi e anche a
quella dei fondatori del comunismo: Marx ed Engels.
D’altra
parte lo stile di vita e le concezioni di questi compagni, in molti casi, sono
lontane da quelle dei proletari di cui vorrebbero dirigere le lotte, su cui
vorrebbero avere influenza. Se il lavoro politico non viene sviluppato in
stretto contatto della classe operaia, a lungo andare questo distacco si
ripercuote soprattutto sul metodo di costruzione dei rapporti tra individui,
tra gruppi, tra organizzazioni; sulle concezioni del ruolo dirigente, delle
relazioni tra organizzazioni diverse, ecc. In particolar modo sul significato
di unità e divisione che questi compagni ricavano dalle loro concezioni, che
vorrebbero sì guidate dal materialismo dialettico, ma che spesso, in realtà,
sono guidate dalla concezione borghese (dalla sua influenza) che è
individualista per ragioni di classe. Non solo la concezione elaborata e fatta
propria dal partito forma i quadri, ma anche il rapporto diretto con la classe
costruisce quello strato intellettuale e morale che contrasta l’influenza
borghese su di noi. Noi siamo soggetto e oggetto della rivoluzione così come lo
siamo della classe di cui abbracciamo la causa: dobbiamo essere disponibili a
lasciarci influenzare anche direttamente dalla classe operaia, perché a fare i
militanti avanzati sono buoni tutti (quasi) ma farlo senza rompere, senza
distaccarsi dalla classe operaia è un’altra storia. “Un passo e solo un passo
più avanti delle masse”, diceva Lenin!
E’
necessario innanzitutto che le organizzazioni comuniste attuali riconoscano i
limiti dello sviluppo del rapporto con la classe operaia e che siano
disponibili a superarlo realmente. Alcune di esse sono meglio inserite di altre
nei conflitti in corso tra capitale e lavoro, hanno rapporti stretti con la
classe operaia e la loro stessa composizione include operai avanzati.
L’esperienza di questo stretto legame favorisce l’orientamento adatto a
superare una frammentazione che ormai da anni rende inefficiente il ruolo dei
comunisti nei paesi imperialisti. Bisogna però mettersi nell’ottica giusta.
A
questa osservazione molti obietteranno che si tratta di economicismo, che senza
una teoria rivoluzionaria non può esservi movimento rivoluzionario. Ma,
obiettiamo a nostra volta, se quello che ci manca non è una teoria
rivoluzionaria, dato che tutti ritengono di averne una, guardiamo a quello che
ci manca realmente: il rapporto con la classe! Noi riteniamo che le due cose
(teoria rivoluzionaria e legame con la classe operaia) siano in rapporto
dialettico: una non può svilupparsi oltre un certo livello se non si sviluppa
anche l’altra. Non è forse il caso di fare un passo nella direzione dell’unità
delle organizzazioni comuniste, in particolare di quelle che hanno un legame
minimamente sviluppato con la classe operaia, per costruire un partito che
possa mettere in campo una reale verifica delle linee e concezioni da ciascuna
espresse?
Questa
non è una risposta esaustiva, si tratta solo di una diversa impostazione
nell’affrontare un problema comune e sperimentare se è possibile il superamento
sia del settarismo che della mancanza di un legame con la classe operaia. Altre
proposte sono naturalmente ben accette. Saranno utili se non si limiteranno ad
affermare che quello che si sta facendo va già bene così, perché oggettivamente
di risultati se ne vedono ben pochi.
ex membri della
carovana del (n)PCI
Nessun commento:
Posta un commento