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mercoledì 4 settembre 2019

Sul fallimento del rafforzamento del Centro del (n)PCI


04.09.2019



Cari compagni, abbiamo deciso di entrare nel merito della vicenda del fallimento del rafforzamento del Centro del (n)PCI non tanto perché ci siamo rivisti, dopo dieci anni, davanti ad una situazione per troppi versi analoga a quella che ci vide direttamente protagonisti allora e quindi riteniamo di avere esperienza per dire cose utili. Quanto piuttosto perché i limiti, gli errori, i difetti che emergono da questo fallimento sono per tanti versi gli stessi di dieci anni fa e non sono, come voi stessi giustamente affermate a proposito del dibattito che state sviluppando al vostro interno, inerenti a beghe, fisime, lamenti personali ma riguardano, invece, problemi più generali del movimento comunista e della lotta in corso per fare dell’Italia un paese socialista.

Ebbene: noi riteniamo che i limiti e gli errori che vi caratterizzano sono problemi importanti del movimento comunista; riguardano limiti e errori di concezione, di formazione dei quadri, di adesione alla causa del comunismo, ecc. Voi stessi concordate con questo tanto che più volte avete dichiarato di dover affrontare questo tipo di problemi e avete in merito messo in campo campagne specifiche (riforma intellettuale e morale: RIM). Sono altresì, a nostro avviso, problemi e limiti propri di varie altre organizzazioni e partiti del movimento comunista del nostro paese e anche dei vari altri paesi imperialisti.
Quindi piantiamola di perdere tempo con la critica di voler mettere in piedi un chiacchiericcio su faccende di nessuna importanza. In ogni caso però, l’analisi del caso concreto (di oggi, di allora, o di qualsiasi altra occasione) non è utile al pettegolezzo: l’analisi concreta della situazione concreta è utile ad evitare di parlare di aria fritta restando sul generico e cadere nella metafisica.
La vostra proposta per il dibattito è la seguente: “È alla luce del ruolo che i comunisti devono assumere e dei compiti che devono svolgere per porre fine al catastrofico corso delle cose che la borghesia imperialista impone alle masse popolari che possiamo e dobbiamo discutere delle linee che seguiamo. Di questo siamo disposti a discutere senza riserve.(da Facebook commento dei martedì 3/09).
Bene. Entriamo nel merito e rispondiamo subito alla questione generale.
La classe operaia italiana non ha ancora un partito che ne sia il reparto di avanguardia nella sua lotta contro la borghesia e per l’instaurazione del socialismo. Questo è il “ruolo che i comunisti devono assumere”. I “compiti che devono svolgere” i comunisti si sintetizzano nel costruire, ricostruire, rafforzare (a seconda di dove si ritiene sia il punto di partenza attuale) quel partito.
Tentativi di ricostruirlo ve ne sono stati tanti e altri sono ancora in corso. Alcune organizzazioni ritengono di essere quel partito (il (n)PCI tra queste). Tralasciamo per il momento i criteri con i quali ogni organizzazione giudica se stessa essere o meno quel reparto d’avanguardia. Fatto sta che, a nostro avviso, la capacità di influenza e di direzione sulla classe operaia e sulle masse popolari di qualsiasi organizzazione comunista oggi esistente è ancora poca cosa, è solo all’inizio, nonostante i tentativi di costruire un partito rivoluzionario nel nostro paese, dopo l’avvento dei revisionisti, risalga ormai a più di 60 anni fa. Qualche organizzazione cresce e avanza in questa direzione altre meno. Se ritenete che questa valutazione sia pessimista, dobbiamo entrare nel merito dei dati quantitativi e qualitativi considerati nel loro rapporto dialettico. D’altra parte lo stesso PCARC nel suo comunicato del 30 agosto afferma che gli insegnamenti da trarre dal fallimento del rafforzamento del Centro clandestino del (n)PCI sono importanti:
– perché gli insegnamenti che il (n)PCI ne trae riguardano tutti i comunisti (e, in una certa misura, anche tutti coloro che lottano per cambiare la situazione in senso favorevole alle masse popolari): sono le difficoltà che i comunisti devono superare per promuovere vittoriosamente la rivoluzione socialista in un paese imperialista come il nostro,
– perché Angelo D’Arcangeli e Chiara De Marchis sono stati fino alla fine del 2018 dirigenti del P.CARC, quindi la loro diserzione, in particolare quella di Angelo che è stato per anni un alto dirigente del nostro Partito, indica che abbiamo ancora seri limiti nella formazione dei quadri,
(le sottolineature sono nostre).
Nel comunicato del 30 Agosto il PCARC sostiene, in parallelo con il (n)PCI, che voler trattare delle questioni riguardanti il Centro clandestino di quest’ultimo significa trattare di cose che i compagni non conoscono. A dire il vero qualcuno che le conosce c’è, ma magari sono pochi compagni. Accettando l’obiezione dobbiamo però fare un passo oltre: è vero o non è vero che le ragioni che i compagni Angelo e Chiara hanno sollevato riguardano più in generale concezioni, limiti, errori e deviazioni presenti anche fuori dal Centro del (n)PCI. Allora proponiamo che ognuno nel suo ambito (legale, clandestino, di membro, di collaboratore o di simpatizzante) faccia le sue valutazioni sulla base dell’analisi concreta che gli è possibile e, dove ravveda questioni inerenti a ciò che stiamo trattando, faccia quello che un comunista deve fare: avanzi una critica costruttiva per favorire l’avanzamento.

Dunque. Noi partiamo da quel giudizio sulla situazione attuale del movimento comunista nei paesi imperialisti e ci chiediamo: cosa dobbiamo fare, da comunisti per diventare quel reparto d’avanguardia?
Uno dei limiti concreti che abbiamo riscontrato in voi e in altre organizzazioni è la tendenza e definire concezioni e a derivare da esse linee operative (strategia e tattica) senza seguire il criterio del bilancio concreto dell’esperienza. Ad esempio: affermare che “la nostra linea è giusta al di là di ogni ragionevole dubbio” non è la stessa cosa che dire “l’applicazione della nostra linea ha portato a questi risultati e quindi dobbiamo procedere nella stessa direzione”. Al di là della forma, se voi potete affermare di aver dissipato ogni dubbio, la ragione di ciò dovrebbe consistere nell’aver ottenuto determinati risultati che con l’applicazione della linea vi eravate proposti di raggiungere. Stanno davvero così le cose?
Perché tiriamo in ballo questo aspetto cogliendo l’occasione del fallimento del rafforzamento del Centro del (n)PCI? Perché il problema del fare bilanci realistici, onesti e non dichiarazioni pompose è un vecchio problema che vi caratterizza, anche al tempo in cui noi stessi facevamo parte della carovana. Per questo parliamo a ragion veduta.
Le ragioni per la quali non fate bilanci onesti possono essere varie. Noi ne indichiamo una in particolare che c’azzecca assai con le vecchie vicende di dieci anni fa in cui eravamo coinvolti e che, anche oggi, Angelo e Chiara hanno messo in luce. Magari queste ragioni per altre organizzazioni sono diverse, ma tanto per non stare nel generico e nell’astratto, trattiamo di quelle di cui possiamo analizzare i dati concreti.
Tante volte capita (ed abbiamo pile di documenti, circolari e lettere a testimoniarlo, se volete possiamo ripescarle) che quando un compagno lamenta un limite, porta una critica, la posizione presa da alcuni dirigenti è quella di rispondere ad una critica con una critica: “tu non vedi i passi avanti che abbiamo fatto”, “tu cosa fai per migliorare l’aspetto che critichi”, “alimenti un clima di sfiducia”. E se il compagno insiste nel mettere il dito nella piaga allora scattano le varie misure più o meno velate per isolarlo e svalutarlo agli occhi del partito. E’ solo una questione di stile di lavoro approssimativo, grezzo? No compagni: è proprio una concezione che guida il partito e che vige sia nel Partito dei CARC che nel (n)PCI! Quindi non è un problema di dettaglio, di piccola cosa, perché alla base di questo atteggiamento verso la critica c’è una concezione sbagliata del centralismo democratico, che, come voi stessi affermate, è l’aspetto principale del metodo di lavoro del partito (il principio organizzativo) e una concezione sbagliata della lotta tra le due linee. Da questo deriva un errato metodo di direzione e di formazione che porta ad una mancata crescita qualitativa e quantitativa dei quadri, ad una fragile adesione alla causa (anche i massimi dirigenti pongono dei limiti a destinare risorse al partito) e al mancato raggiungimento degli obiettivi, in primis quello di conquistare la fiducia e assumere la direzione della classe operaia.
Cosa centra questo con il ruolo e i compiti dei comunisti (tema di cui stiamo discutendo)? Centra perché questo aspetto influisce proprio sulla costruzione o sull’avanzamento della costruzione del partito. Ve lo abbiamo già chiesto in passato più volte e mai avete scritto una risposta: siccome
1.      la situazione è favorevole (la borghesia non ha soluzioni ai problemi che il suo sistema impone alle masse popolari e la mobilitazione delle masse aumenta),
2.      il movimento comunista rinasce in tutto il mondo,
3.      la linea definita dal (n)PCI è giusta “al di là di ogni ragionevole dubbio”,
4.      i CARC esistono dal 1992 e il (n)PCI dal 1998 (diciamo, partendo dalla costituzione della Commissione Preparatoria),
considerando che già nel 1997 eravamo in 45, dopo 27 anni quanto siete cresciuti? Non vogliamo qui avere una cifra, il punto non è farlo sapere a noi, che comunque siamo perfettamente in grado di darci una risposta da soli (anche se approssimativa). La domanda ve la dovete porre voi e se la devono porre tutti i comunisti, ognuno per la sua organizzazione. E a fianco ad essa dobbiamo anche chiederci quanto è cresciuta la nostra influenza tra la classe operaia e le masse popolari.
Dando per scontato che non ci interessa raccontarci balle, assumiamo per assodato che siete/siamo cresciuti molto poco o quasi niente in organizzazione ed in influenza. A questo punto voi avete nel manuale la risposta già pronta: “contro quelli che pensano che un partito comunista nasca grande…”, “contro quelli che sottovalutano l’importanza della concezione e della linea…”, “contro i disfattisti pervasi dalla concezione borghese che spargono pessimismo…”, e via sentenziando. Bene: piantiamola anche con questa pantomima! Noi ci poniamo il problema di dover crescere, voi vi ponete il problema di dover crescere, tutti se lo pongono. Quindi il problema c’è. Punto! I filosofi si limitano a giudicare se il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto, i comunisti cercano di riempirlo!
Voi stessi avete cercato di dare una soluzione mettendo in campo delle campagne, una delle quali, se non sbagliamo, era quella della riforma intellettuale e morale. Quali passi avanti avete ottenuto? Quali temi avete affrontato? Cosa è cambiato nella vostra concezione del centralismo democratico e della lotta tra le due linee, ma anche, in definitiva, nella vostra concezione del materialismo dialettico, cioè nelle questioni che a nostro avviso sono dirimenti?

Nel vostro comunicato del 30 agosto scorso affermate
Sul piano organizzativo questa concezione si traduce in un unico sistema nazionale di direzione e in un’unica disciplina: l’individuo è subordinato al collettivo, la minoranza è subordinata alla maggioranza, l’istanza inferiore è subordinata all’istanza superiore. Quattro sono i punti in cui si concretizza il centralismo democratico:
1. elettività degli organi dirigenti dal basso in alto;
2. obbligo di ogni organo di Partito di rendere periodicamente conto della sua attività all’organizzazione che lo ha eletto e agli organi superiori;
3. rigorosa e leale disciplina di Partito e subordinazione della minoranza alla maggioranza;
4. le decisioni degli organi superiori sono incondizionatamente obbligatorie per gli organi inferiori” (dalla Risoluzione n. 2 “Il lavoro interno del P.CARCe la Riforma Intellettuale e Morale dei comunisti” approvata dal IV Congresso del P.CARC- giugno 2015, alla cui stesura Angelo ha partecipato in prima persona).

Un tempo avevamo/avevate un manuale organizzativo che citava
Il centralismo vuol dire che:
1.      l’organismo deve dirigere l’individuo, che l’individuo deve subordinarsi all’organismo
2.      gli organismi di livello superiore devono dirigere gli organismi di livello inferiore, che gli organismi di livello inferiore devono subordinarsi agli organismi di livello superiore
3.      che la minoranza deve subordinarsi alla minoranza.
La democrazia vuol dire che: 
1.      gli organismi superiori devono essere eletti dagli organismi inferiori
2.      la critica deve essere libera e aperta, dall’alto verso il basso e dal basso verso l’alto
3.      l’autocritica deve essere praticata a tutti i livelli
4.      gli organismi dirigenti devono tener conto di tutte le obiezioni e decidere secondo le loro responsabilità
5.      in ogni organismo dobbiamo cercare di raggiungere l’unità
6.      dobbiamo cercare di convincere ogni compagno della giustezza delle direttive che gli vengono date e dei compiti che gli vengono assegnati
7.      tutti dobbiamo attuare lealmente, con creatività, con intelligenza e con entusiasmo le direttive e le linee e verificarle nella pratica

 C’è stato un evidente cambiamento. Perché?
Quando un compagno avanza una critica, una delle risposte che dalla direzione spesso ottiene è di essere confrontato con la borghesia, che inveisce contro i comunisti per le sue “buone” ragioni. Ma mettere sullo stesso livello le critiche di un comunista con le denigrazioni della borghesia è avere la concezione di Deng Xiao-Ping: “non importa che il gatto sia bianco o nero, l’importante è che acchiappi i topi”. Se un compagno avanza critiche bisogna anche valutare se è un compagno che non fa altro o fa poco altro. In questo caso potrebbe essere un opportunista, o peggio un infiltrato. Ma se il compagno che critica è un compagno che ha più volte dimostrato di avere dedizione alla causa, di occuparsi di compiti importanti e difficili, di destinare forze e risorse nell’interesse del partito (era il caso nostro 10 anni fa ed è il caso di Angelo e Chiara oggi), allora bisogna avere un atteggiamento diverso. Questo perché il compagno “merita” un trattamento di favore (ecco una delle critiche che spesso avanzate contro i compagni che criticano)? No. Bensì perché nella critica costruttiva, fatta cioè al fine di rafforzare il partito, è insita anche la possibilità che quel compagno abbia ragione, anche se è il solo, al momento, ad aver visto la lacuna, il limite, l’errore da lui criticato.
E qui entriamo nel merito della concezione errata che avete della lotta tra le due linee e, più in generale, del materialismo dialettico, che voi invece non concepite come dialettico.
… continua nel prossimo intervento.

ex membri della carovana

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