Entriamo nel merito delle
note che il compagno Babini del P-CARC ha fatto al nostro documento di
presentazione del blog. Le nostre note sono in azzurro e tra parentesi tonda.
Collettivo Aurora
Paolo Babini
Partito dei CARC –
Direzione Nazionale
A Unire le Forze Comuniste
Cari compagni,
il Partito dei CARC ha
ricevuto il vostro appello, riportato subito qui di seguito. L'appello è
rivolto a un insieme di forze, di cui pubblicate documenti. Sia l'appello sia i
documenti sono stati analizzati in dettaglio, e commentati. Lo scrivere sui
vari testi è, di fatto, una risposta al vostro appello, perché scrivendo sullle
questioni si mette ordine nei pensieri, si distingue e (ci) si unisce. In La Voce del (nuovo)PCI, n. 46, marzo 1945, p. 26,
leggo: "Chi oggi pensa di poter costruire la rivoluzione e imparare a
pensare senza scrivere, è come un muratore che vuol costruire una casa senza
cemento e malta." Scrivo dunque come un muratore usa cemento e malta.
Vi inoltro l'insieme dei
documenti con i commenti (Note) contrassegnati con numero progressivo e tra
parentesi quadre.
Paolo Babini
Partito dei CARC -
Direzione Nazionale
Firenze, 11 aprile 2014
Appello
Questo appello è rivolto a
tutti coloro che hanno a cuore le sorti del movimento comunista, non per
nostalgia o per paura dell’oblio, ma perché stanno dalla parte del popolo e
riconoscono che la lotta per il comunismo è, in definitiva, l’unica strada
possibile per salvare l’umanità dalla rovina in cui sta precipitando.
Nota
1
[L’appello
più che “per salvare l’umanità”, ha da essere per costruire una società nuova, e quindi per
costruire una nuova umanità.
(Commento superfluo: che
il capitalismo abbia creato le condizioni che rendono pericolosamente possibile
la rovina del pianeta e degli esseri che vi abitano è un fatto riconosciuto non
solo dagli ambientalisti ma anche da gran parte del movimento comunista. In
questa frase affermiamo che la lotta per il comunismo è l’unica strada
possibile: non è chiaro che il comunismo è una società nuova da costruire?)
L’umanità si salva
rinnovandosi. Più volte in questa raccolta ci si richiama alla necessità del
legame tra partito e masse, e tale legame si costruisce nello slancio in
avanti.
Questo è un principio
generale, di cui una definizione scientifica sta nel nome stesso del Partito
dei CARC. Questo è infatti partito dei comitati che appoggiano la resistenza
delle masse popolari, e quindi un movimento a difesa di qualcosa, ma "per
il comunismo", cioè per trasformare tale resistenza in costruzione di una
nuova società.
Il principio è oggettivo
(non è un dogma di qualche scuola di pensiero), e infatti emerge spontaneo in
dichiarazioni come la seguente: “Sono fiduciosa e spero di raccogliere
non quello che viene definito il malcontento della gente, ma la voglia di
partecipazione della gente” (Miriam Amato, candidata a sindaco del M5S per le
amministrative del 2014 a
Firenze.)]
Bando agli ottimismi di
facciata e ai ridicoli trionfalismi: oggi il movimento comunista italiano e
della maggior parte del mondo è in crescente crisi. Il suo destino sarà quello
di sprofondare ulteriormente nell’oblio, se non interveniamo soggettivamente,
con un’azione volontaria e consapevole, tempestivamente e guidati da una giusta
concezione della situazione e dei suoi possibili sviluppi.
Nota
2
[Noi non siamo gli ultimi
barlumi del vecchio movimento comunista, ma l’aurora del nuovo. “Ottimismi di
facciata e ridicoli trionfalismi” sono tali se espressioni di chi vuole
trasmettere passione senza averla e ripetere dogmi senza avere scienza. Al di
là di questi, però, la fiducia nella vittoria è ingrediente fondamentale per
ogni unità, sia essa entro un partito, sia tra formazioni diverse che convergono
in una, sia tra il partito e le masse popolari. Nel Terzo Congresso del Partito
dei CARC, nell’ottobre del 2013, abbiamo usato le parole d’ordine “osare
sognare” e “osare vincere”.]
(Per ottimismo di facciata intendiamo quello
adottato da chi preferisce evitare di misurare e affrontare limiti ed
insuccessi e spera che infondendo fiducia a parole si riesca a superare le
difficoltà e lo scoraggiamento. È un atteggiamento idealista, non materialista.
Perché mai un comunista dovrebbe farsi scoraggiare dai limiti e dagli
insuccessi, sapendo che essi sono inevitabili anche lungo il cammino che porta
alla vittoria? Chi ha paura di cosa?
I comunisti non dovrebbero essere dei sognatori
senza i piedi per terra: la constatazione dello stato attuale del movimento
comunista e del suo rapporto con le masse è una questione scientifica, non una
mera aspirazione per infondere ottimismo e fiducia nel futuro. Solo sulla base
di un’analisi concreta della situazione concreta possiamo far fronte ai
problemi del nostro sviluppo e, più in generale, della lotta di classe. Se
dalla nostra attività non derivano successi significativi dobbiamo capire
perché. Alcune organizzazioni formulano delle risposte a questo problema altre
negano che esista. Bisogna prima di tutto riconoscerlo, altrimenti discutiamo
inutilmente. Anche il P-CARC segnala che esistono problemi di sviluppo sia tra
loro e le masse che al loro stesso interno. Forse prima di scambiarci accuse di
eccessivo ottimismo o pessimismo sarebbe bene fare una seria e concreta valutazione
dello stato dei fatti.
Nel documento del Collettivo Aurora si riportano
cifre e valutazioni anche quantitative. Cosa ne pensa il P-CARC? Ha altri
elementi che confutano quelle valutazioni?)
Da anni diciamo che la
situazione di crisi del sistema capitalista presenta per noi comunisti una
situazione favorevole, ma ancora non riusciamo a sviluppare le nostre forze.
Purtroppo, ancora, ogni nostra (piccola) organizzazione pare godere di sé e
della sua pochezza.
Da più parti e sempre più
spesso, però, si sviluppano riflessioni sul nostro stato attuale e appelli ad
unire le forze. È un buon segno ma è ancora poco: non siamo ancora nemmeno a
livello di un serio dibattito, quindi per realizzare passi avanti concreti ci
vorrà ancora un po’. Ma non perdiamoci d’animo.
Lo scambio di idee,
concezioni ed esperienze e il dibattito costruttivo tra le varie componenti è
una premessa fondamentale per la loro unità. Di pari passo può e deve procedere
anche una pratica comune come banco di prova delle idee e concezioni di
ciascuno e della effettiva volontà e capacità di unire le forze che sono
concretamente disponibili a superare i limiti attuali e che per questo sanno
liberarsi dell'opportunismo e del settarismo che ancora le caratterizza.
Con questo blog vogliamo
contribuire allo sviluppo di un rapporto tra le varie componenti del movimento
comunista (singoli compagni e organizzazioni) tale da favorirne l’unità per la
costruzione di un partito comunista in Italia, del partito della classe operaia
organizzata.
Per favorire l'avvio del
dibattito abbiamo raccolto e pubblicato come post distinti sul blog una serie
di documenti già prodotti da alcune delle principali organizzazioni comuniste
del nostro paese. La scelta è incentrata principalmente (ma non solo) su quei
documenti che trattano soprattutto il problema dell'unità (o della
frammentazione) del movimento comunista.
Invitiamo tutte le
organizzazioni, i gruppi e i singoli compagni ad intervenire costruttivamente
nel dibattito, a segnalarci e/o inviarci ulteriori documenti adatti ad essere
inseriti un questo sito e a contribuire con commenti ai documenti presenti.
Nella pagina Testi
inseriremo titoli e testi digitali che riteniamo interessanti inerenti il
movimento operaio, rivoluzionario, comunista. Anche per questo ambito chiediamo
la collaborazione più ampia a segnalare titoli, inviare testi e digitalizzare
ciò che è ancora su carta.
Se volete ricevere email in
ogni occasione in cui un post viene pubblicato, inviateci la vostra email
tramite il modulo Seguici tramite email. Se volete essere contattati compilate
il Modulo di contatto.
Buon lavoro a tutti.
Collettivo Aurora – La
crisi del sistema capitalista e la ricostruzione del partito comunista in
Italia
Un appello alla
trasformazione dei rapporti tra i comunisti, per l’unione delle forze e la
rinascita del movimento comunista.
15 settembre 2013
Da dove veniamo?
Il secolo scorso
è stato il secolo in cui le rivoluzioni socialiste e proletarie hanno cambiato
radicalmente la vita dell’uomo sul pianeta.
Nota 3
[Il collettivo
Aurora non indica quale differenza c'è tra rivoluzioni socialiste e rivoluzioni
proletarie. “Rivoluzione proletaria” è termine che include “rivoluzione
socialista” e “ rivoluzione di nuova democrazia”. Stante che finora le
rivoluzioni sono state tutte di nuova democrazia, la rivoluzione socialista
ancora ha da farsi(1). La questione non è terminologica. La rivoluzione
socialista si fa nei paesi imperialisti, e qui la rivoluzione ancora non è
stata fatta. La questione della mancata rivoluzione nei paesi imperialisti è
cruciale, nel senso che se non si comprende perché il movimento comunista internazionale non è
avanzato in questo terreno nessun avanzamento è possibile, e nemmeno,
soprattutto, la ricostruzione del partito che è aspirazione comune di tutte le
forze a cui è stato rivolto l’appello sopra citato.]
NOTE
1. Vedi Manifesto programma del (nuovo)PCI [in http://www.nuovopci.it/scritti/mpnpci/indicmp.html, [da qui in poi MP]: “Non la rivoluzione
socialista, ma la rivoluzione proletaria, combinazione di rivoluzioni di nuova
democrazia e di rivoluzioni socialiste, avrebbe posto fine al modo di
produzione capitalista.” (MP, ed. Rapporti Sociali, Milano, 2008, p. 42]
(Il
termine rivoluzioni proletarie usato per indicare la combinazione di
rivoluzione di nuova democrazia e di rivoluzione socialista non è patrimonio
diffuso del movimento comunista, bensì una formulazione scelta dal (n)PCI e
usata nel MP citato. Nella frase del collettivo Aurora si indicano per
rivoluzioni socialiste quelle che hanno portato all’instaurazione del socialismo
e per rivoluzioni proletarie quelle che non hanno portato a questo risultato
(come si evince dal seguito della frase). Non siamo d’accordo sul fatto che “la
rivoluzione socialista ha ancora da farsi”: la rivoluzione russa e quella
cinese sono state rivoluzioni socialiste! Le rivoluzioni socialiste sono state
fino ad ora caratterizzate da un primo passaggio a rivoluzioni di nuova
democrazia in seguito alle quali si è poi svolta la rivoluzione socialista. Su
questo punto non tutti concordano. In ogni caso sul citato MP si afferma che
“La rivoluzione di nuova democrazia trapassa in rivoluzione socialista. Cioè
avvenne non solo in Russia, ma in modo ancora più esemplare in Cina.” (nota 39
pag. 268). Quindi anche per il (n)PCI è sbagliato affermare che la rivoluzione
socialista non c’è ancora stata. È vero invece che non c’è ancora stata in
nessun paese imperialista e che questo è un problema centrale per i comunisti
di questi paesi.)
Sia dove
l’ordinamento sociale è diventato socialista, sia dove le rivoluzioni
proletarie (di nuova democrazia, antimperialiste) hanno abbattuto i regimi
reazionari, sia dove l’ordinamento sociale è rimasto quello capitalista, sia,
infine, dove gli imperialisti sono riusciti a mantenere la loro oppressione
coloniale, praticamente in ogni angolo della terra nulla è stato più come
prima.
Nota 4
[Per il
collettivo Aurora rivoluzione di nuova democrazia e rivoluzione proletaria sono
lo stesso. Intende "rivoluzioni socialiste" quelle dove si è iniziata
la costruzione del socialismo, probabilmente.]
(Vedi
sopra.)
La lotta della
classe operaia e delle masse popolari dirette dai partiti comunisti
rivoluzionari ha cambiato in meglio la vita di miliardi di persone: negare
questo è come affermare, oggi, che la terra è piatta.
Non vi è dubbio
che l’esperienza della costruzione del socialismo e della lotta per
l’emancipazione dei popoli dallo sfruttamento capitalista sia stata ricca di
insegnamenti. Un’esperienza fatta di successi e di sconfitte, di cose giuste e
cose sbagliate, di concezioni giuste e di concezioni sbagliate.
Nota 5
[Il collettivo
Aurora non dice qui quali sono le cose giuste e quali quelle sbagliate, quali
sono le concezioni giuste e quelle sbagliate. Lo dicesse, potremmo distinguere
tra le varie forze comuniste cui qui si fa appello perché si riuniscano.
Infatti quelle forze si differenziano per le concezioni, e le loro concezioni o
sono giuste o sono sbagliate, visto che fanno affermazioni diverse sullo stesso
oggetto (esempio: delle due affermazioni “la terra si muove” e “la terra è
immobile” una sola è vera, e l’altra è sbagliata). Unirsi non significherà
certo mettere insieme giusto e sbagliato, come in cucina non si mette insieme
alimento sano e alimento marcio, che se lo si facesse il cibo sarebbe veleno.]
(Non
rientra negli obiettivi di quel documento del Collettivo Aurora esporre la sua
visone del mondo, ma porre un problema strettamente legato alle attuali
condizioni del movimento comunista. In ogni caso è certo tema fondamentale di
dibattito la concezione che caratterizza ogni componente del movimento
comunista. Anche dal documento del Collettivo Aurora si evince, ad esempio, che
lo stesso collettivo considera che per il bilancio del movimento comunista la
rivoluzione russa e quella cinese sono rivoluzioni socialiste e che vanno
annoverate tra le esperienza positive.)
In ogni caso è
stata complessivamente un’esperienza positiva che ha fatto fare un gran passo
in avanti all’umanità, un passo in avanti ben più ampio di qualsiasi altro
passo compiuto in precedenza e ancora mai eguagliato fino ad oggi. Miliardi di
individui si sono tirati fuori, ciascuno con ruoli diversi, dall’esistenza
praticamente e intellettualmente quasi primitiva in cui, ancora nel XVIII
secolo la classe borghese li teneva soggiogati e in pochi anni hanno compiuto
un balzo in avanti che nessuno avrebbe mai immaginato.
I detrattori
delle rivoluzioni proletarie non fanno altro che esaltarne i difetti (veri o
presunti) e negarne i successi. Essi, a
qualsiasi classe appartengano, non fanno altro che esprimere la gioia, la
paura, l’interesse della borghesia – classe
di aguzzini e sfruttatori – che se l’è vista brutta e che non è ancora
tranquilla dopo il grande rischio che ha corso: scomparire come classe.
Ma come per la
borghesia è stato necessario più di mezzo millennio per affermarsi come classe
dirigente nel mondo, anche per il proletariato saranno necessarie più ondate
successive per rivestire quel ruolo. La storia non procede in linea retta e non
è nemmeno una serie di cicli indistinti che si ripetono; è piuttosto una
spirale che sale ininterrottamente portando ogni anello ad un livello più alto
di sviluppo.
Nota 6
[Il (nuovo)PCI
afferma lo stesso. Vedi al riguardo MP, P. 87.]
Dalle
rivoluzioni vittoriose molta acqua è passata sotto i ponti. La maggior parte
dei partiti comunisti che le hanno condotte ha abbandonato il ruolo
rivoluzionario[1] che in passato aveva indubbiamente svolto. Ma oggi, nel cuore
di una crisi mondiale del sistema capitalista, di fronte alla crescente
sofferenza dei popoli del pianeta, non spiccano ancora partiti e organizzazioni
d’avanguardia a promuovere un nuovo e necessario sconvolgimento radicale dello
stato delle cose presenti.
Sono orami
passati oltre 50 anni dall’inizio “ufficiale” e dispiegato della svolta revisionista
dei principali partiti comunisti del mondo, con alla loro testa il Partito
Comunista dell’Unione Sovietica (PCUS). Il Partito Comunista Italiano (PCI) ha
seguito anch’esso la linea revisionista che prevalse al XX congresso del PCUS
(1956).
In quella fase,
spinto anche dall’opposizione antirevisionista capeggiata dal Partito Comunista
Cinese (PCC), anche nel nostro paese prese corpo un lavoro tanto tenace e
coraggioso, quanto purtroppo ancora inconcludente, per ridare alla classe
operaia un partito comunista che non seguisse la svolta revisionista, cioè un
partito comunista rivoluzionario.
Nota 7
[Non
condividiamo questa affermazione. Consideriamo il (nuovo)PCI un buon risultato
del lavoro tenace e coraggioso di cui qui si parla, indipendentemente dalla sua
grandezza(1). Il partito comunista è rivoluzionario se ha determinate
caratteristiche che lo pongono in grado di costruire la rivoluzione, di
estendere il legame con le masse, ecc. È rivoluzionario già a livello
embrionale, come è già "uomo" o "donna" l'essere umano
appena nato.
Il collettivo
Aurora forse ritiene che un partito è tale solo se riconosciuto dalle grandi
masse popolari. I casi sono due: o sorte all’improvviso come tale, già
riconosciuto dalle grandi masse, oppure è costruito passo dopo passo, come
succede in ogni attività che gli esseri umani fanno, a partire da quelle con un
minimo di complessità.]
(Ogni
organizzazione dell’attuale movimento comunista considera se stessa o il
proprio progetto in fieri come il più significativo passo avanti nella
costruzione del partito comunista. Non basta questo per fare di ogni partito o
progetto di partito il necessario
partito comunista. Affermare che non è ancora stato costruito un partito
comunista all’altezza dei propri compiti non significa affermare che lo si vuole
già grande o già riconosciuto dalle masse fin dalla sua nascita (non facciamo
finta di non capire le affermazioni, altrimenti perdiamo tempo in chiacchiere).
Nel documento del Collettivo Aurora si riportano esplicitamente degli elementi
concreti: nei paesi imperialisti 50 anni ci separano dai primi tentativi (dopo
la svolta revisionista) di dare alla classe operaia il suo partito comunista.
Facciamo un’analisi concreta di quanto esistente all’oggi. Il (n)PCI è ancora
sostanzialmente un pugno di compagni che pubblica una rivista ogni 4 mesi e
gestisce un sito. Da qualche anno non risulta nemmeno più alcuna attività dei
Compitati di Partito Per quanto utile ed indispensabile sia un pugno di
compagni che propaganda una giusta concezione del mondo e una linea ben definita,
non basta questo a farne un embrione di partito se dopo 10 anni dalla
fondazione ufficiale e 16 anni dopo aver gettato le sue basi quel pugno di
compagni resta tale. Oppure anche quando saranno passati altri 10 anni potremo
continuare a dire che siamo sulla strada giusta? Qual è il limite? Quali sono i
parametri con cui facciamo il bilancio dell’esperienza e correggiamo gli
errori?
Sia
chiaro: questo ragionamento vale per il (n)PCI come per ogni altro progetto,
partito o tentativo di partito messo in
campo da ogni altra componente del movimento comunista.)
NOTE
1. “Il (n)PCI,
fondato nel 2004 e che nel 2010
ha tenuto il suo I Congresso, è l’unico vero embrione di
partito comunista presente in Italia, l’unico che ha assunto con chiarezza e
coerenza il compito di guidare la classe operaia a fare dell'Italia un nuovo
paese socialista adottando la strategia della guerra popolare rivoluzionaria di
lunga durata (GPRdiLD) applicata ad un paese imperialista qual è il nostro e di
cui la clandestinità del partito è la traduzione in termini organizzativi.” (Tesi del Terzo Congresso del Partito dei
CARC, Tesi 16, novembre 2012,
in http://www.carc.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1517:le-tesi-approvate-al-iii-congresso&catid=148:concezione-del-mondo&Itemid=155
In Italia,
anziché “salvare” l’allora PCI dalla deriva revisionista e condurlo o
riportarlo sulla via rivoluzionaria, la maggior parte dei comunisti più
avanzati (o che comunque si ritenevano rivoluzionari) abbracciò la linea di
fondare un nuovo partito. Già questa considerazione, così come quella del ruolo
del PCC nella lotta contro il revisionismo, sono state fin dall’inizio fonte di
profonde divisioni all’interno del movimento comunista.
1. .
Nota 8
[Il problema non
era se la sinistra del movimento comunista dovesse stare dentro o fuori del
primo PCI, ma che quella sinistra, dentro e fuori del PCI, avesse una
concezione, una linea e una strategia giuste. Che elaborasse concezioni giuste
e togliesse concezioni sbagliate, per usare i termini del collettivo Aurora. Le
concezioni sbagliate invece persistettero e sono riconducibili a due tendenze,
cioè il dogmatismo e il movimentismo.(1)]
NOTE
1.
Utile al riguardo l’articolo Secchia, due importanti lezioni in http://www.nuovopci.it/voce/voce26/secchia.html-e
(Anche
stare dentro o fuori dal PCI è una questione di linea politica, non sono
questioni separate.)
Il primo
tentativo di portata significativa di costruzione di un partito comunista
rivoluzionario in opposizione alla deriva revisionista fu la costruzione, da
parte di alcuni compagni che uscirono dal PCI, del Movimento marxista-leninista
italiano che pubblicava il settimanale Nuova Unità e che nel 1966 fondò il
PCd’I (m-l).
Il PCd’I (m-l),
che dalla sua fondazione aveva come segretario Fosco Dinucci, ottenne nel 1968
il riconoscimento del PCC e del Partito del Lavoro d’Albania. L’Unione della
gioventù comunista (m-l) era l’organizzazione giovanile del partito.
Dal 1966 in poi nel PCd’I (m-l)
vi furono numerose scissioni:
- nel 1969 da parte di Angiolo Gracci e
Dino Dini (Partito Comunista d’Italia (marxista-leninista) – Linea Rossa,
scioltosi nel 1991 nel PRC);
- nel 1969 da parte dell’Organizzazione
Comunista Bolscevica Italiana marxista-leninista(OCBI m-l),
- nel 1970 da parte di Osvaldo Pesce
che fonda l’Organizzazione Comunista d’Italia-marxista-leninista (OCI m-l);
- nel 1979 da parte del gruppo raccolto
attorno al quotidiano Ottobre, su posizioni più attente all’Unione Sovietica e
alla sinistra del PCI;
- nel 1980 da parte di Ubaldo Buttafava (La
nostra lotta) su posizioni filo-albanesi.
Un’altra
importante componente che si distaccò dal PCI fu l’Unione dei Comunisti
Italiani (marxisti-leninisti) fondata nel 1968. Pubblicava Servire il Popolo e
aveva a capo Brandirali. Nel 1972 si trasformò in Partito Comunista
(Marxista-Leninista) Italiano. Negli anni successivi il PC(m-l)I si frantumò in
seguito a numerosi scissioni.
L’OCBI m-l nel
1977 fondò il Partito marxista-leninista italiano (PMLI), con a capo Scudieri,
che pubblica a tutt’oggi Il Bolscevico.
Nel 1991 PCd’I
(M-L) e l’UGC (M-L) confluirono nel Movimento per la Rifondazione Comunista.
Parallelamente
le organizzazioni comuniste combattenti, in primo luogo le Brigate Rosse, hanno
condotto un processo che pure ha visto una vasta partecipazione – in diversa
misura e forma – di operai, lavoratori, studenti ed elementi delle masse
popolari alla lotta contro i padroni, il loro Stato e le loro strutture
repressive. Anche in questo ambito il tentativo di ricostruzione del partito
comunista ha trovato le sue spinte e i suoi contrasti, ma è indubbiamente stata
la questione centrale che, insoddisfatta, ha portato alla crisi e infine al
crollo di quelle organizzazioni (che pure avevano raccolto anche quantitativamente
un significativo contributo di massa).
Da allora ad
oggi il movimento comunista italiano è stato via via sempre più costellato da
una miriade di organizzazioni che si formano, si frazionano, si sciolgono.
Le principali di
queste organizzazioni hanno in qualche modo quell’origine comune, un passato
più o meno ereditato che ne determina per certi versi le caratteristiche.
Quindi una parte fondamentale dell’attuale movimento comunista ha avuto un
obiettivo comune: nasceva come tentativo di dare alla classe operaia del nostro
paese un partito comunista rivoluzionario, per strappare la classe operaia
stessa dall’influenza della deriva revisionista della direzione del vecchio
PCI. Questo tentativo non ha dato i frutti sperati: abbiamo mancato l’obiettivo
fondamentale. A distanza di oltre 50 anni è necessario, oltre che onesto,
ammetterlo e farci i conti.
D’ora in poi
indicheremo con il termine componenti del movimento comunista quei partiti,
organizzazioni, gruppi, collettivi, organismi, ecc. che in qualche modo si
rifanno al comunismo e si dichiarano comuniste.
Nota 9
[Partiti,
organizzazioni, gruppi, collettivi, organismi che si rifanno al comunismo e che
si dichiarano comunisti sono anche il PRC e il PdCI e quello che ne resta, il
CSP di Rizzo, tutti i gruppi trotzkisti. Quale relazione stabilire con essi?
Quale ruolo (positivo, negativo) possono avere nell’opera di ricostruzione del
partito comunista (che sarà uno, e non saranno tre e nemmeno due)? Al loro
interno ci sono o no elementi delle masse popolari il cui contributo è utile
allo scopo?]
(Il
rapporto che va tenuto con i vari soggetti interni o orbitanti intorno al
movimento comunista va valutato caso per caso, sia per quelli che svolgono
direttamente o indirettamente un ruolo positivo che per quelli che lo svolgono
negativo. Indubbiamente il ruolo delle masse al loro interno è utile allo scopo
se ben indirizzato. Tutta questa è materia del nostro lavoro come comunisti.
Spesso è anche materia da cui si generano aspre divisioni tra le componenti del
movimento comunista.)
Oggi
praticamente ogni componente del movimento comunista si sta ponendo il problema
della ricostruzione del partito comunista o dell’unità dei comunisti. In
sostanza ogni compagno che vuole ragionare con la propria testa si pone il problema
della frammentazione (frantumazione, disgregazione o che dir si voglia) del
movimento comunista e delle sue sorti nel prossimo futuro.
Anche quelle
componenti che ritengono di essere esse stesse il partito comunista necessario
(di averlo cioè già costruito) sono costrette ad ammettere che il loro partito
non è ancora all’altezza dei compiti che spetterebbero ad esso, nonostante
alcuni di questi partiti siano stati fondati da 10, 20 anni o oltre (PMLI,
(n)PCI, PCm, ecc.). È segno che nel movimento comunista del nostro paese è in
corso, apertamente riconosciuto o meno che sia, un sano processo di
autocritica. Dobbiamo afferrarlo coscientemente e saldamente, condurlo a fondo
per fare un significativo passo avanti, se vogliamo riconquistare la perduta
influenza sulle larghe masse, per arrivare finalmente a individuare e quindi a
smuovere le cause che ci inchiodano ad un ruolo ancora sostanzialmente
ininfluente nella lotta di classe.
Quindi possiamo
affermare che nel nostro paese manca un partito comunista all’altezza dei
compiti che la fase attuale pone di fronte ad esso.
Nota 10
[Per stabilire
se si è o no all’altezza dei compiti bisogna definire quali compiti, come
questi compiti si articolano e si pongono uno di seguito all’altro. Il nostro
compito principale non è difenderci dall’attacco della borghesia imperialista,
ma trasformare la difesa spontanea delle masse popolari in attacco, e questo
attacco si sviluppa come Guerra Popolare, che si articola in campagne, che a
loro volta si articolano in battaglie. La domanda dunque è se esiste oggi un
partito adeguato a condurre la guerra e adeguato alla specifica battaglia da
fare.]
(Non
basta: per stabilire se si è o meno all’altezza dei compiti: bisogna definire i
compiti e svolgerli, fare un bilancio franco dei risultati, correggere il tiro
dove necessario e via così, in passaggi successivi di una spirale crescente. A
nostro parere oggi non esiste un partito adeguato a condurre questa guerra,
altrimenti non ci porremmo il problema di costruirlo. Esistono però elementi
organizzati (le cmc) che sono spinti in vario modo alla sua ricostruzione e che
hanno accumulato o stanno raccogliendo un’esperienza utile dalle piccole
battaglie che oggi conducono. Il punto di partenza per la fase nuova è passare
da questa galassia disgregata in qualcosa (cosa lo dobbiamo scoprire insieme
anche partendo da questo dibattito) di più efficace sia per la conduzione di
campagne che forniscano materiale di analisi più determinante, che per
contrastare la sfiducia delle masse nel movimento comunista del nostro paese.
A
proposito di quest’ultimo aspetto (la fiducia della masse nel movimento
comunista): avete voi elementi concreti, qualitativi e quantitativi, che
indicano un’evidente crescita di tale fiducia?)
Questa è una
delle questioni fondamentali (dal punto di vista soggettivo la principale) che
noi comunisti dobbiamo affrontare. È una questione che riguarda sostanzialmente
tutti i comunisti dei paesi imperialisti; risolvendo il problema nel nostro
paese contribuiremo alla sua soluzione anche negli altri paesi.
Ognuna delle
diverse componenti del movimento comunista sviluppa la propria attività rivolta
alle masse popolari, ai lavoratori, alla classe operaia, contro la borghesia,
contro i padroni, contro gli apparati repressivi dello Stato, ecc. Allo stesso
tempo ognuna di esse sviluppa una propria attività interna di formazione, di
dibattito, ecc.
Organizzazioni e
partiti, gruppi e collettivi esistenti, nonostante i numerosi tentativi,
raramente riescono a mettere in campo iniziative comuni che producono un
livello di unità superiore.
In Italia il
numero delle componenti del movimento comunista oscilla tra fondazioni e
scioglimenti, divisioni (molte) e fusioni (poche), espulsioni (molte) e
reclutamenti (pochi). Indicativamente si aggirano tra le 20 e le 30
organizzazioni che raccolgono ciascuna dai 3 – 4 fino a 80 – 100 militanti.
Quelle oltre i 50 militanti sono comunque solo due o tre. Complessivamente
saremo, ad essere generosi con noi stessi, circa 2000 compagni organizzati.
Naturalmente il
grado di militanza è anch’esso molto vario. Alcuni membri sono militanti a
tempo pieno, qualcuno pure funzionario, e questi svolgono un ruolo attivo
permanente; altri, all’opposto, sono più che altro collaboratori saltuari più o
meno scoordinati, la terra di mezzo è la più nutrita.
Parallelamente a
questa situazione del movimento comunista, i passi indietro che la classe
operaia e le masse popolari sono costrette a subire in termini di condizioni di
vita e di lavoro, sono la dimostrazione che la classe operaia ancora non è
armata (cioè non ha il suo reparto d’avanguardia: il partito comunista): quando
combatte – e ancora capita raramente in rapporto agli attacchi che subisce – lo
fa disarmata.
Non bastano le
buone intenzioni del membri e delle componenti del movimento comunista: nessuna
di esse esercita oggi una significativa influenza politica sulla la classe
operaia e sulle masse popolari tale da favorire il suo armarsi. Nessuna di
esse, nel corso della sua storia – e per alcune si tratta anche di oltre 20
anni di esistenza sotto la medesima sigla – si è sviluppata fino a diventare un
punto di riferimento nazionale per una cerchia di lavoratori e masse popolari
che superino il qualche centinaio di elementi. Non vale contare le sporadiche
iniziative che periodicamente mettiamo in piedi e alle quali arrivano a
partecipare complessivamente qualche migliaio di persone: queste non sono
indice di influenza politica sulla classe, benché restino comunque, in alcuni
casi, una dimostrazione di dignitosa capacità organizzativa e soprattutto di
lodevole spirito di abnegazione dei membri che più vi si impegnano.
Se la nostra
influenza fosse reale, dalle diverse iniziative che sviluppiamo dovremmo
conseguentemente trovare risorse per accrescere le nostre forze, anche di poco.
Ma poco per poco, essere in 20 o 50 dopo 10 o 20 anni di lavoro non può
significare altro che noi non siamo ancora in grado di convincere un lavoratore
– che per di più subisce crescenti attacchi dai padroni – a lottare nelle
nostre fila, cioè a combattere, almeno in teoria, meglio organizzato, più
forte, più incisivo. La nostra proposta, nelle sue varie forme in cui si
esprime per mano e bocca delle 20 o 30 organizzazioni comuniste, non convince.
Nota 11
[Il collettivo Aurora non tiene conto del
contesto in cui il lavoro si svolge. Si tratta di fare la rivoluzione
socialista, cioè di fare la rivoluzione in un paese imperialista, cosa mai
fatta in precedenza, e l’opera quindi richiede il tempo necessario. Calcolando
l’opera in termini quantitativi non si arriva a capo di nulla. Il primo PCI,
durante tutto il periodo fascista non ebbe crescita quantitativa, né crebbe il
suo legame con le masse, ma nemmeno sviluppò una teoria adeguata su come fare
la rivoluzione in un paese imperialista, tanto che al momento in cui le masse
popolari in grande numero si rivolsero a lui per avere prospettive e armi, nel
settembre del 1943, fu colto di sorpresa.
“Persino nel settembre 1943 in Italia manca ancora
una linea di partito per spostare l’attività sul piano della guerra. Dalle
caserme che restano per alcuni giorni abbandonate o scarsamente presidiate, i
singoli comunisti recuperano armi ma per iniziativa individuale; ai soldati,
che a causa della vergognosa diserzione del re e di gran parte degli ufficiali
superiori, si sbandano, il partito per alcune settimane non dà direttive né
fornisce organizzazione e direzione. Solo nel corso del mese il partito
incomincia a svolgere il suo compito di promotore, organizzatore e dirigente
della guerra antifascista con i grandi risultati che conosciamo. Per la prima
volta nella loro storia le masse popolari italiane vedono all’opera un partito
comunista che dirige sul piano strategico e sul piano tattico una vasta azione
politica (che comprende anche il suo aspetto militare): per questo giustamente
abbiamo detto che la
Resistenza è stata a tutt’oggi “il punto più alto raggiunto
finora nel nostro paese dalla classe operaia italiana nella sua
lotta per il potere”. (http://www.carc.it/index.php?view=article&id=869)”(1)]
NOTE
1. Quale partito comunista? (da La Voce 45 del (nuovo)Partito comunista italiano,
anno XV novembre 2013, pubblicato in questa raccolta.
(Esattamente:
il partito nasce per forza di cose piccolo e con scarsa influenza tra le masse,
ma se adotta (cioè scopre e costruisce) una giusta concezione e una giusta
linea il partito cresce e cresce la sua influenza tra le masse. Se invece non
possiede questi elementi non cresce e perde la fiducia delle masse (e se è
grande per ragioni storiche poi si sgretola). Ergo: se un partito non cresce
vuol dire che qualcosa non va! Noi non abbiamo la verità in tasca su cosa sia
questo qualcosa che non va, ma lo dobbiamo scoprire partendo dal riconoscere
che le cose stanno così.
Stando
a quanto asserisce il (n)PCI, dovremmo concludere che se non si cresce oggi non
ha importanza, tanto quando arriverà un altro 8 settembre la cosa importante
sarà avere la linea giusta e non venire colti di sorpresa? Ma perché le masse
in quel futuro 8 settembre dovrebbero rivolgersi ad un partito che avrà sì e no
100 militanti e sconosciuto ai più?
Ma ancora peggio
possiamo dire se consideriamo per un momento noi stessi come un unico corpo del
movimento comunista: da alcune decine di migliaia che eravamo negli anni 70
siamo rimasti meno di 2000 compagni! Con un seguito tra le masse che fatica a
superare lo stesso numero dei militanti.
Nota 12
[Perché Aurora
paragona il numero odierno con quello dei bei tempi che furono, e non con
quello dei bei tempi che saranno? Il passato dei proletari non è così bello da
perderci tempo in nostalgie.]
(L’analisi
non è mai tempo perso se fatta allo scopo di migliorare le condizioni attuali.
Inoltre: il tempo passato dei proletari russi o cinesi è peggiore di quello
attuale? Tanto peggiore che non vale la pena nemmeno provarne nostalgia? Per
non dire farne un buon bilancio!
L’osservazione
di Babini ha del religioso: non confrontare dati certi di oggi con dati certi
di ieri per fare un’analisi concreta, ma affermare che comunque domani ci sarà
il regno dei cieli.)
La questione
risulta ancor più grave se consideriamo verosimile quello che molte componenti
dichiarano: “la situazione è favorevole”. Per fortuna!
Nota 13
[Se il contadino dice: “la mucca è da
mungere” che c’è di grave? Grave è non mungerla, non quello che il contadino
dice.]
(Il
problema non è la dichiarazione che la situazione è favorevole, ma che, pur di
fronte ad una situazione favorevole, non si ottengono risultati significativi.
Quindi non si tratta di smettere di dire che è favorevole, ma di capire perché,
nonostante lo sia, non si avanza.)
Siamo pochi,
divisi e non cresciamo! Per amara che sia, questa verità la dobbiamo
riconoscere, dobbiamo smetterla di ignorarla, dobbiamo studiarla a fondo per
capirne le cause e trovare la soluzione. Questo è il nostro compito! Ogni altra
cosa a cui dedichiamo risorse ed energie, non è altro che una forma di
tentativo di sopravvivenza, al di là delle nostra più buona volontà: è un
tirare a campare, anche se non ci sembra tale.
Nota 14
[Bisogna fare un
bilancio, effettivamente. Magari con entusiasmo, e non con l’amarezza di cui
parla il collettivo Aurora,. Senza pensieri felici non si vola, dice Peter Pan,
e se non si vola la foresta dall’alto non si vede. Pensiamo, dunque, consapevoli che “quello che
pensiamo, decide di ciò che facciamo”(1).]
NOTE
1. Dobbiamo imparare a pensare,
in La Voce del (n)PCI, n. 46, marzo 2014, p. 23, in http://www.nuovopci.it/voce/voce46/lavoce46.html#Dobbiamo_imparare_a_pensare
(Oops..!
Mi era sfuggito quel materialista bolscevico di Peter Pan. Battute a parte, va
notato che il riferimento a Peter Pan è infelice ma anche indicativo: la
sindrome di Peter Pan non è cosa positiva. È, guarda caso, l’atteggiamento di
chi non vuole crescere, di chi non vuole assumersi responsabilità concrete, non
rispetto ai suoi sogni ma rispetto alla realtà che lo circonda. Cade quindi
proprio a fagiolo per il tema che stiamo trattando: che il movimento comunista
sia in parte affetto da questa sindrome? Inoltre aggiungiamo che quello che
facciamo è conferma o smentita di quello che pensiamo!)
L’accusa di
pessimismo e di disfattismo rivolta a chi si riconosce in questa visione della
situazione del movimento comunista, o comunque a chi mette in evidenza i nostri
limiti, corrisponde al comportamento da struzzi. Fingere che il bicchiere sia
mezzo pieno ci mantiene fuori strada. Non ci sono forse sufficienti motivi per
combattere se viene a mancare l’ottimismo di facciata che per tanto tempo molti
di noi assumono? Forse che le sofferenze e la rabbia di milioni di lavoratori
non sono forza motrice sufficiente a farci superare la nostra spiegabile
demoralizzazione di fronte alla nostra debolezza? È certamente più serio fare
bene i conti con le nostre debolezze e trovare la strada per superarle,
ovviamente partendo dal vederle!
Nota 15
[La forza
motrice non è la sofferenza dei lavoratori. Il collettivo Aurora, a dispetto
del proprio nome, privilegia i toni oscuri. La demoralizzazione si supera
quando abbiamo in mano (o in testa, diciamo) sufficienti elementi per
intraprendere con fiducia un’impresa che l’umanità non ha mai compiuto, cioè
fare la rivoluzione in un paese imperialista. Il “primo motore” sta in questo.
]
È un problema di
linea giusta?
In merito alle scissioni,
espulsioni, fuoriuscite o mancanza di crescita, ogni componente del movimento
comunista dichiara l’ineluttabilità della divisione da o dell’espulsione di
sulla base di una teoria giusta, più avanzata, più rivoluzionaria; oppure
sostiene che la linea seguita è giusta ma al proprio interno la volontà di
applicarla è ancora debole.
Non v’è dubbio
che l’elaborazione teorica prodotta dal movimento comunista nel suo complesso
sia formata da idee giuste e idee sbagliate, come è altrettanto vero (se pur non
automatico) che da idee giuste conseguono tattiche e strategie giuste e
viceversa per le idee sbagliate.
La lotta
ideologica nell’ambito del movimento comunista è quel movimento cosciente
determinato, in fin dei conti, dalla contraddizione fondamentale tra borghesia
e proletariato; è il riflesso nel movimento comunista della lotta tra borghesia
e proletariato; essa è pertanto una forma della lotta di classe.
Quindi, ad un
certo livello, la lotta ideologica anche nel movimento comunista è lo scontro
tra due poli di una contraddizione antagonista.
Nota 16
[Ci sono idee
giuste e idee sbagliate, dice il collettivo Aurora, ma non dice quali. Non
prende posizione, pensando che se lo facesse non darebbe un buon contributo
all’unità delle forze comuniste cui aspira. Ma la realtà è dialettica, ed è
dividendoci che ci uniamo, cioè dividendo quelli che seguono una linea giusta
da quelli che seguono una linea sbagliata.
Il collettivo
Aurora non dice nemmeno cosa distingue le idee giuste da quelle sbagliate, cioè
cosa distingue le idee che portano la classe operaia alla vittoria da quelle
che la portano alla sconfitta, le idee della sinistra del movimento comunista
dalle idee della destra. Una cosa che distingue le une dalle altre è il fatto
che le prime hanno da essere nuove, hanno da essere costruite, non sono dogmi
di scienza passata, lavoro morto (che se bastasse quello non saremmo messi così
male come il collettivo Aurora ricorda) mentre le seconde non hanno bisogno di
essere costruite, perché sono null’altro che le vecchie idee della concezione
borghese e della concezione clericale del mondo, sono quelle del “si è sempre
fatto così” o del fatto che “sì, in teoria bisogna fare la rivoluzione, ma in
pratica dobbiamo risolvere una serie di problemi immediati e non abbiamo tempo
da perdere in sperimentazioni rischiose, per cui facciamo al modo antico.” Le
idee della destra sono lì a disposizione (come la mela che la strega dà a
Biancaneve), quelle della sinistra sono
da farsi. Per questo ci chiamiamo “carovana del (n)PCI”: perché avanziamo in
terra nuova.]
(Già
detto a proposito del fatto che in questo documento non esponiamo tutto il
nostro sapere. Ma ben venga la sollecitazione a farlo. Noi siamo convinti, e lo
diciamo chiaramente, che ci sono idee giuste e idee sbagliate. Siccome però
ognuno afferma che le proprie idee sono giuste e quelle degli altri sbagliate,
bisogna fare un passo avanti. Il passo avanti che dobbiamo fare è la verifica
nella pratica delle idee. L’applicazione di un’idea nella pratica, quali risultati
ha portato? Che le idee vengono dalla pratica è patrimonio del movimento
comunista e parte fondamentale della concezione materialistica dialettica. In
questo caso la concezione che “le idee nascono dalla pratica” non si distingue
per essere nuova, ma resta giusta.)
La lotta
ideologica è anche, più in generale, la lotta per l’affermazione delle idee
giuste e delle linee tattiche e strategiche ad esse conseguenti. All’interno
del movimento comunista, così come all’interno del proletariato e di tutte le masse
popolari in quanto classi, esistono anche contraddizioni non antagoniste che
determinano uno scontro di idee espressione dei poli di quelle stesse
contraddizioni. Si tratta di contraddizioni in seno al popolo e non di
contraddizioni antagoniste. Il loro superamento, a differenza del superamento
della contraddizione fondamentale tra borghesia e proletariato, è un’unità
superiore.
Oggi spesso
nemmeno all’interno di ciascuna delle componenti del movimento comunista di una
certa dimensione (diciamo dai 20 membri in su) c’è una linea unitaria.
Nota 17
[La si condivida
o meno, all'interno degli organismi di organismi della carovana come il P-CARC
e il (n)Pci una linea unitaria c'è.]
(C’è
a parole, ma come si vede dalla pratica, dallo scambio di opinioni, è vero
anche il contrario.
Il
Materialismo Dialettico (concezione del mondo abbracciata anche dal P-CARC)
insegna che sempre quantità e qualità
sono legate, sono due poli di una contraddizione, che sempre in ogni fenomeno esistono aspetti quantitativi e qualitativi.
La quantità di calore trasmessa all’acqua trasforma questa dallo stato liquido
a vapore. Dialettica della Natura di
Engels è ricco di esempi che illustrano questa rivoluzionaria scoperta e
concezione del mondo. Eppure più avanti (Nota 19) il compagno Babini afferma:
“Quando mai la quantità è segno di qualità?”. Tenendo per buona la concezione
materialistica dialettica del mondo noi affermiamo: sempre! Ma anche vari
documenti dello stesso P-CARC affermano: sempre!
Engels
afferma
Le leggi della dialettica vengono dunque
ricavate per astrazione tanto dalla storia della natura come da quella della
società umana. Esse non sono appunto altro che le leggi piii generali di
entrambe queste fasi dell'evoluzione, e del pensiero stesso. Esse, invero, si riducono
fondamentalmente a tre:
la legge della conversione della quantità
in qualità e viceversa;
la legge della compenetrazione degli
opposti;
la legge della negazione della negazione.
[…]
1. Legge della conversione della quantità
in qualità e viceversa.
Possiamo esprimerla, per quel che
concerne il nostro scopo, nel fatto che nella natura variazioni qualitative
possono aver luogo solo aggiungendo o togliendo della materia o del movimento
(la cosiddetta energia), e ciò in modo rigorosamente valido per ogni e
qualsiasi singolo caso.
[…]
Probabilmente quegli stessi signori, che
hanno finora tacciato di misticismo e di trascendentalismo incomprensibile la
conversione della quantità in qualità, dichiarano adesso che si tratta di una
cosa ovvia, banale, piatta, della quale da gran tempo avevano fatto uso, e che
con ciò non viene loro insegnato nulla di nuovo. Ma resta sempre un fatto di
importanza storica avere enunciato per la prima volta,.. nella forma in cui è
universalmente valida, una legge generale di sviluppo della natura, della
società e del pensiero. E se quei signori hanno già da anni trasformato
quantità e qualità l'una nell'altra senza sapere quello che si facevano,
dovranno consolarsi pensando al Monsieur Jourdain di Molière che, anch'egli,
aveva parlato in prosa tutta la sua vita senza averne il minimo sospetto.
L’affermazione
del compagni Babini è un buon esempio di non corrispondenza, all’interno di una
stessa organizzazione, delle concezioni, da cui poi derivano anche le linee.
Eppure questo non impedisce a Babini di essere uno dei dirigenti del P-CARC.
Noi non siamo stupiti di questo, non perché pensiamo che il P-CARC ponga alla
sua testa compagni che non hanno una giusta concezione del mondo, ma perché in
generale ogni componente del movimento comunista svolge un’attività concreta
che è ancora ben lontana dal rendere realmente determinati ai fini pratici
anche le più grossolane divergenze di concezioni).
Spesso non c’è
unità nemmeno sulle questioni più generali: sulla mobilitazione delle masse, sul
ruolo e i nostri compiti verso e nei cosiddetti sindacati di regime e su quelli
alternativi; sulle forme di propaganda, sulle elezioni borghesi, sulla
repressione, sull’ambiente, sui movimenti di massa emergenti come ad esempio il
Movimento 5 Stelle. Nemmeno c’è unità sulla linea organizzativa, sulla linea
della costruzione del partito comunista. Questi sono solo alcuni esempi. Ognuna
delle componenti del movimento comunista attuale dovrebbe chiedersi: quanta
unità abbiamo costruito al nostro interno su questi punti fondamentali?
Potremmo forse affermare con certezza che l’unità costruita al nostro interno
su questi punti è più forte della divisone che ci separa da altre
organizzazioni o da altri compagni?
Leggendo una
serie di testi raccolti (vedi Appendice) e di cui suggerisco l’analisi, emerge
chiaramente che esiste, almeno nelle dichiarazioni ufficiali, un’ampia
convergenza – quando non un’identità di vedute – su alcune questioni
fondamentali (strategiche) e su numerose questioni tattiche; una convergenza
che spesso è anche più marcata di quanto lo sia l’effettiva coerenza tra la
teoria e la sua applicazione pratica di una stessa organizzazione.
Probabilmente
invece la frammentazione del movimento comunista è ancora principalmente il
frutto di una lunga serie di divisioni storiche di bottega che nulla hanno a
che fare con la lotta tra le linee all’interno di un partito comunista.
Lenin esortava i
sostenitori di vie alternative a quelle espresse dai bolscevichi a non
trascinare questi ultimi nel pantano delle loro inconcludenti concezioni e
strade. Ma oggi, qui in Italia (e in parte anche altrove) siamo tutti nel
pantano e nessuno ha ancora costruito quel “piccolo nucleo compatto” che marcia
deciso sulla giusta via.
Se non usciamo
da questo pantano ci affogheremo tutti. Dobbiamo iniziare a dedicare una parte
importante del nostro lavoro a tentare strade per superare la frammentazione,
altrimenti il movimento comunista finirà per avere un’influenza e quindi
un’importanza nulla per le masse popolari.
Forse 50 anni fa
poteva avere un senso la linea del “che vinca il migliore”, nel senso che tra
varie organizzazioni del movimento comunista che si erano formate poteva
condursi una lotta che avrebbe portato quelle guidate da una concezione ed una
linea giusta a conquistare più delle altre la fiducia e quindi l’adesione delle
masse. Ma, cessata la prima spinta di grande sviluppo del movimento comunista
rivoluzionario (i primi 15 anni dall’avvento del revisionismo) nessuno ha
vinto, nessuno è stato il migliore, nessuno ha raccolto e ha tutt’ora le
larghe(!) masse al suo seguito.
Nota 18
[Limitare il
movimento comunista rivoluzionario ai primi 15 anni dall’avvento del
revisionismo è un errore. Il movimento comunista cosciente e organizzato copre
l’intero arco di tempo dal 1848
a oggi, e in questo arco di tempo si distingue in
movimento che avanza verso la rivoluzione e movimento revisionista.
Quest’ultimo movimento si esprime nel primo revisionismo e nel revisionismo
moderno. Il revisionismo nella sostanza è sempre uguale, mentre il movimento
comunista rivoluzionario si trasforma, e ogni volta risorge con superiore
potenza, prima come movimento marxista, poi marxista leninista, poi marxista
leninista maoista. Ridurre il movimento rivoluzionario a 15 anni di storia e qualificarlo
come rivoluzionario solo perché non era “non rivoluzionario”, cioè non era
revisionista, porta poco avanti nella comprensione della realtà.]
(Questo
commento è pura polemica sterile: è chiaro che parlando dei primi 15 anni non
ci riferiamo a tutta la storia del movimento comunista rivoluzionario ma solo a
quello che va dalla fine degli anni 50 a metà anni 70! Suvvia! (Aggiungo che con maggiore
precisione potevamo dire primi 20 anni: 56-76).)
Allora potevamo
dire che i fatti avrebbero dimostrato chi era il migliore, chi era il più
adatto a incanalare la mobilitazione delle masse nella lotta per il socialismo.
I fatti potevano dimostrarlo perché la mobilitazione promossa da varie
componenti del movimento comunista era effettiva, corposa. La grande quantità
era anche dimostrazione di buona qualità.
Nota 19
[Fosse stata
buona la qualità, la quantità non solo si sarebbe mantenuta, ma sarebbe
cresciuta. Quando mai la quantità è segno di qualità? Quantitativamente, il PCI
era superiore rispetto alle organizzazioni antirevisioniste. I partiti
socialdemocratici della Seconda Internazionale erano molto grandi
quantitativamente: perché si sono sfasciati a partire dalla vigilia della
Seconda Guerra Mondiale, con la sola esclusione del POSDR?
La grande
quantità di cui si parla qui era aspetto particolare della grande quantità del
movimento comunista a livello internazionale, e quella a sua volta era
risultato dell'aver seguito una linea fondamentalmente giusta, quella che aveva
portato al successo della rivoluzione in Russia, linea che si era fondata, a
sua volta, su scoperte partite da un nucleo quantitativamente ridotto, come
quello del POSDR di Lenin, nucleo che non si costituì per "rimediare alla
frammentazione" che esisteva anche a quel tempo, ma che anzi al suo
interno si rinsaldò differenziandosi anche da componenti interne. Ma di questo
si parla oltre.]
(Dice
il compagno Babini: “Fosse stata buona la qualità, la quantità non solo si
sarebbe mantenuta, ma sarebbe cresciuta.” Ci chiediamo: questo vale solo per il
passato o anche per i comunisti di oggi?
Per
qualità Babini forse intende solo “buona qualità”. Il termine qualità invece
non comprende un giudizio di buono o cattivo. L’acqua a temperatura di
ebollizione diventa vapore. Non vapore buono o vapore cattivo.)
Oggi siamo nella
situazione in cui nemmeno le iniziative giuste hanno i numeri per qualificarsi
tali. Ciò non significa meccanicamente che non siano giuste, che non siano
guidate da giuste concezioni, significa solo che ci è per forza difficile valutare
la qualità stante la scarsa quantità. È come fare un test con un solo campione
scarso di reattivo e di reagente: può riuscire o meno, ma non fa testo.
Nota 20
[Non concordo. È
come dire che si può scegliere un partito solo quando è grande e non, quindi,
che se un partito grande non c'è si opera per costruirlo, e a partire dal
piccolo, perché ogni organismo, anche in natura, nasce piccolo.]
(No.
Vuol dire che prima di affermare che si sta operando nel modo giusto occorre
condurre l’esperimento in modo diverso. Vuol dire che se un partito è piccolo
si opera per farlo crescere e se non cresce vuol dire che si sta operando male ma non che non bisogna operare! Così è
più chiaro? Tanto per non girare intorno alla frittata: cominciamo ad entrare
nel merito di questo.
Siamo
naturalmente d’accordo sul fatto che si può scegliere anche un partito piccolo
o ricostruirlo se non c’è. Ma quando qualcosa che è piccolo o appena nato non
cresce allora significa che non si trasforma (quantità --> qualità). Anche
due compagni possono lavorare per ricostruire un partito comunista, ma se
rimangono 2 compagni, anche se si fanno chiamare partito, partito non sono,
perché solo una certa quantità porta a quella determinata qualità. Due compagni
al più sono una coppia.)
Tra qualità e
quantità c’è un rapporto dialettico. Non è vero che una viene prima dell’altra,
che la qualità viene prima della quantità. L’una rafforza l’altra, l’una
dimostra l’altra.
In molte
componenti del movimento comunista, di fronte alla critica (interna od esterna)
di mancanza di unità dell’insieme del movimento comunista, viene contrapposta
la teoria che “il partito epurandosi si rafforza”. Sebbene in determinate
circostanze questa teoria sia giusta, essa, come ogni teoria, vale in quanto
corrispondente ad una situazione concreta. Infatti è tutt’altro che automatico
il rafforzamento dell’organizzazione tramite la divisione di concezioni diverse
all’interno dell’organizzazione stessa. In certe situazioni vale il principio
che se togli lo zucchero al succo d’uva non ottieni il vino: per ottenere il
vino bisogna che lo zucchero fermenti e produca alcool!
Così,
soprattutto nel contesto attuale (in cui cioè il movimento comunista è al suo
minimo storico delle forze), le divisioni che non riguardano i compiti contingenti
sono inutili nel migliore dei casi e dannose nella maggior parte.
D’altronde
l’esperienza dei principali partiti comunisti vittoriosi ci ha mostrato fasi
alterne di unità di forze non omogenee e di divisioni indispensabili. Il POSDR
(Partito Operaio Socialdemocratico Russo) si formò come fusione di diversi
partiti addirittura di paesi diversi, tra i quali esistevano differenze
significative che al momento dell’unificazione non erano fondamentali o
dirimenti rispetto all’obiettivo principale. In seguito Il POSDR si epurò dei
soggetti più arretrati o destri quando si divise dai menscevichi e dai
Socialisti Rivoluzionari di destra, ma rimase unito ai SR di sinistra e con
alcuni soggetti che pure avevano reso incerto il successo dell’insurrezione
(Kamenev e Zinoviev che preannunciarono l’imminente insurrezione non furono
espulsi ma solo sollevati dai loro incarichi più importanti). Poi ancora il
POSDR si epurò dei soggetti che non combattevano adeguatamente la
controrivoluzione scatenata dai bianchi e dagli imperialisti. Ecc. ecc.
Nota 21
[E’ vero che in
certi momenti ci si unisce, in altri ci si divide, ma perché, e quali sono gli
snodi cruciali? Senza di questo abbiamo la narrazione di percorso storico e non
ne traiamo un percorso logico, utile a chi deve intraprendere di nuovo il
cammino. L’unico principio espresso è che è male dividerci quando siamo pochi.
Eppure oggi una miriade di coppie si dividono, e sono tutte unità di sole due
persone.]
In sostanza
anche la questione della “purificazione” nelle file del partito del
proletariato è sempre una questione concreta, non è un principio assoluto e
astratto.
Oggi nei paesi
imperialisti il compito principale per il rafforzamento o la creazione di
partiti comunisti è la ricostruzione del legame con le masse che è diventato
praticamente inesistente.
Nota 22
[Oggi nei paesi
imperialisti il compito principale per il rafforzamento o la creazione di
partiti comunisti è un livello adeguato di elaborazione scientifica
dell’esperienza della lotta di classe. Con questo, si crea il legame tra
partito e masse che consente l’esistenza del partito e il suo rafforzamento.
Qui e altrove, parlando di masse il collettivo Aurora ragiona in termini
quantitativi: le masse sono da lei intese come “grandi quantità di esseri umani”.
Non considera l’importanza di stabilire un legame anche con nuclei minimi delle
masse popolari, cosa che agli inizi è inevitabile e anzi è un passo avanti
notevole. Sono un esempio qui in Toscana la costituzione di due sezioni del
Partito dei CARC, una a Siena e una a Pisa, basate sul legame intrecciato con
pochi elementi.]
(E
contemporaneamente abbiamo anche la perdita di una o due sezioni a Massa!
Allora anche per il P-CARC è vero che la crescita quantitativa è indice di
qualità. Bene. Noi siamo convinti che, soprattutto all’inizio, i passi non
possono essere grandi e così pure i risultati. Ma dopo 20 anni si può parlare
ancora di inizio? Evidentemente sì, poiché i fatti dimostrano che siamo ancora
nella fase in cui non abbiamo ancora capito come procedere, nonostante la
logica ci indichi una strada che sembrerebbe giusta… in teoria.)
La nostra
influenza tra esse, il loro seguirci o meno, non dipendono solo dalla giustezza
delle nostre idee, ma dalla corrispondenza tra queste e la pratica, soprattutto
dai risultati pratici.
Nota 23
[A essere
precisi, la giustezza delle idee sta nella corrispondenza tra queste e la
pratica. Se un’idea è giusta, influenza le masse popolari nel senso che le
orienta o che diventa un mano loro uno strumento che funziona. Se tutto questo
non avviene, l’idea non è giusta.]
(Esattamente!
Facciamo il bilancio anche della mobilitazione delle masse avvenuta grazie al
nostro lavoro di propaganda.)
Oggi i nostri
risultati sono praticamente nulli su questo campo e questo significa o che
nessuno ha una teoria generale – una strategia – giusta (e ciò è anche
possibile) oppure che per quanto giusta sia essa comunque non comprende e non
sviluppa quasi per nulla il nodo principale: il legame con le masse. Un partito
comunista senza un legame con le masse che va progressivamente sviluppandosi
non può chiamarsi tale.
D’altra parte
come potremmo riuscire a costruire un partito comunista cercando di evitare
(come la maggior parte di noi fa oggi) il dibattito e il confronto, che in
fondo è l’anima del partito? Perché mai il concetto di centralismo democratico
sarebbe assurto alla posizione di principio fondamentale per ogni partito
comunista se non costituisse il nervo principale della esistenza del partito
stesso e del suo sviluppo come forma cosciente e organizzata della classe?
Il settarismo
che in diverse forme si manifesta oggi tra le varie componenti del movimento
comunista in fondo non è altro che il rifiuto di ciascuna componente di
accettare tutti gli aspetti che il centralismo democratico comporta per la vita
del partito e quindi di ogni suo militante.
Nota 24
[Il centralismo
democratico vale all’interno di un partito, non tra le varie componenti
del movimento comunista cosciente e
organizzato.]
(Infatti
se si legassero organizzativamente ad un certo livello alcune componenti del
movimento comunista, dovrebbero arrivare ad adottare il centralismo
democratico, e non è facile essere disposti a farlo quando si parte dall’idea
che la mia e solo la mia linea è quella giusta “al di là di ogni ragionevole
dubbio”.)
Ma se non
diventiamo militanti e istanze capaci di districarci tra le difficoltà dello
scontro tra idee e regole che determinano il nostro rapporto, come potremmo
pensare di essere capaci di superare le difficoltà determinate da una guerra
reale, concreta e terribile contro un nemico che, lo ha più volte dimostrato,
userà ogni mezzo per eliminarci dalla storia?
Che cosa sta
succedendo oggi?
Il “fenomeno”
della rapida ascesa del Movimento 5 Stelle che, diciamocelo, ha colto più o meno
di sorpresa anche ogni componente del movimento comunista, indica alcune cose
importanti.
Innanzitutto vi
è stata la manifestazione di una diffusa voglia di partecipazione delle masse
alla vita politica, cosa che nessun altro partito o organizzazione (che
sostenesse o meno che le masse volevano partecipare) era stata fino ad ora
in grado di mettere in evidenza. Il voto
e la partecipazione ai momenti organizzativi del M5S non sono in se stessi
dimostrazione di voglia di far politica. Esprimono però oggettivamente una
tendenza a mettersi in gioco, ciascuno con le proprie idee, impressioni,
capacità e storia.
Nota 25
[La volontà di
partecipazione delle masse popolari alla vita politica è, d’altro lato,
necessità di questa loro partecipazione. Infatti questa partecipazione per
quanto riesce a esprimersi è segno della necessità di abolire la divisione in
classi, che è diventata obsoleta. È espressione del comunismo come movimento
oggettivo.
Questa
partecipazione è effettivamente il carattere positivo principale del M5S.]
Il M5S, diciamo
tutti, non ha una strategia che possa portare realmente le masse fuori dal
marasma attuale. Grillo e i suoi stretti collaboratori sono stati in grado
“solo” di far leva sul malcontento diffuso per incanalarlo principalmente in
una opposizione contro l’esistente e solo in parte e per aspetti particolari
perla costruzione o l’aggiustamento di alcune questioni importanti per la vita
delle masse. Complessivamente però i dirigenti del M5S non indicano la via per
eliminare le cause che generano e continueranno a perpetrare lo stato delle
cose presente. Il M5S è cioè guidato da una concezione soggettivista che lo
rende sostanzialmente un movimento riformista radicale. Per migliorare lo stato
di cose presente, per il M5S occorrono una serie di personaggi piazzati nei
posti chiave e che siano buoni, onesti, competenti e certo anche un po’
filantropi.
In un certo
senso esiste una possibile sovrapposizione tra questa strategia e la lotta di
classe, ma solo dal punto di vista soggettivo: c’è una classe di cattivi e una
classe di buoni. Al posto delle caratteristiche del modo di produzione, del
legame contraddittorio tra forze produttive e rapporti di produzione da cui
deriva la divisione in classi della società, per il M5S è una questione di buon
senso e di onestà. Per eliminare lo sfruttamento, la povertà, la guerra,
l’inquinamento, l’ingiustizia, ecc. bisogna mettere alla direzione della
società “cittadini” che non siano (almeno fino ad ora) mai stati sfruttatori,
guerrafondai, distruttori dell’ambiente, disonesti, ecc. Anche i ricchi possono
andare bene: basta non guardare da dove deriva la loro ricchezza!
Anche noi
comunisti vorremmo mettere gente simile al potere. Giusto. Però non ci
illudiamo e non illudiamo le masse che questo basti a cambiare le cose: se non
si eliminano le condizioni materiali che determinano i rapporti sociali da cui
dipendono le possibilità di sfruttare, arricchirsi, distruggere, inquinare,
ecc. ecc. non facciamo altro che rimandare alle prossime generazioni la soluzione
dei problemi più gravi della società. Noi comunisti infatti abbiamo una
strategia: il nostro obiettivo è l’abbattimento del capitalismo, che non esiste
perché ci sono gli uomini cattivi al potere, ma perché il modo di produzione
capitalista presuppone una divisione in classi, presuppone lo sfruttamento di
una classe sull’altra.
Sul piano della
mobilitazione delle masse emergono poi tutte le contraddizioni che un movimento
come quello dei grillini (e in particolare i suoi dirigenti) esprimono. Alla
manifestazione più o meno spontanea raggruppatasi il 20 sera davanti a
Montecitorio, Beppe Grillo ha detto che andava, poi però ha detto che arrivava
tardi, poi ha detto che arrivava il giorno dopo e che la manifestazione si
sarebbe tenuta in un’altra piazza: con l’aiuto di Crimi si è dimostrato un
bravo pompiere!
Noi comunisti
quindi abbiamo una strategia per uscire dal marasma attuale e il M5S non ce
l’ha. Però…
Però i grillini
si organizzano, si uniscono, raccolgono consensi e in pochi anni sono riusciti
ad ottenere 8 milioni di voti alle elezioni politiche. Mentre il movimento
comunista sta quasi scomparendo dalla scena elettorale (e non solo).
Nota 26
[Nella scena
elettorale gli unici comunisti ad avere avuto accesso sono stati i
revisionisti. Cosa intende il collettivo Aurora per “movimento comunista”?
Nessuna delle organizzazioni di cui vengono riprodotti qui i testi ha mai avuto
peso sulla “scena elettorale” e alcune anzi se ne tengono a distanza. Il
movimento comunista è limitato a queste forze, o è altro, o è composto da tutti
quelli che si dichiarano comunisti?
È meglio
specificare cosa si intende con l’espressione “movimento comunista”, altrimenti
si rischia di fare affermazioni che non sono diverse da quelle di tutta la
parte di masse popolari che si lamenta del fatto che elementi come il PRC o il
PdCI non sono in parlamento. Bisogna invece fare affermazioni diverse da quelle
che fanno le masse popolari. Dobbiamo avere, a differenza di loro, una scienza
della realtà, e non una opinione, o un punto di vista, come dirà più oltre la Rete dei Comunisti. Dobbiamo
distinguerci dalle masse, se vogliamo unirci a loro.
Quando parliamo
di movimento comunista, distinguiamo tra movimento comunista oggettivo e
movimento comunista soggettivo.
Il movimento comunista è
oggettivo, infatti. “Prima di essere una teoria, prima di esistere nella coscienza dei
comunisti, il comunismo ha incominciato ad esistere come movimento pratico,
come processo attraverso il quale i rapporti sociali di produzione e le altre
relazioni sociali si trasformano per adeguarsi al carattere collettivo che le
forze produttive hanno assunto nell’ambito del modo di produzione
capitalista.”(1)
Il movimento comunista
soggettivo, invece, è “l’insieme dei partiti e delle organizzazioni che si propongono la marcia
verso il comunismo come loro obiettivo, con il rispettivo patrimonio di
concezioni, analisi, linee e metodi per realizzare il proprio obiettivo, con un
complesso di relazioni e con la corrispondente divisione dei compiti
(organizzazioni di massa e partito comunista).(2)
Da
questa prima, seppure ancora molto astratta, distinzione, si può partire per
una definizione scientifica esatta di ogni espressione parziale del movimento
comunista passate e presente, nell’una o nell’altra parte del mondo.]
NOTE
1. MP, p. 82.
2. MP, pp. 254-255.
(Per
movimento comunista intendiamo quelle organizzazioni e quei compagni che
pongono la rivoluzione socialista come loro obbiettivo: quindi escludiamo i
revisionisti come organizzazioni ma non i singoli compagni che, se pur
all’interno di partiti revisionisti, hanno questo obiettivo almeno nella testa
e nel cuore. Concordiamo con quanto espresso nel MP.
Alcune
componenti del movimento comunista hanno partecipato alle campagne elettorali
degli ultimi anni, sempre con scarsi risultati, nel senso che oggi non ci
risultano comunisti rivoluzionari (di nome e di fatto) eletti in
amministrazioni locali o in parlamento e che svolgano in questi un ruolo
positivo per la rinascita del movimento comunista. Tra le organizzazioni che hanno
ritenuto utile parteciparvi vi sono stati sicuramente il P-CARC, Iniziativa
Comunista, il Partito comunista italiano marxista-leninista, ecc. Non sappiamo
all’oggi quale sia la situazione.
Noi
siamo tra quelli che ritengono che i comunisti possono usare le elezioni e le
campagne elettorali al fine di raccogliere forze per la ricostruzione del
partito comunista.)
Possiamo anche
tentare di schivare il problema affermando che le elezioni non dimostrano
nulla. Ma non raccontiamoci balle! Supponiamo per un momento che una qualsiasi
organizzazione comunista avesse raggiunto lo stesso risultato di voti che oggi
hanno raggiunto i grillini (o anche solo uno ottavo!): quale componente del
movimento comunista non avrebbe gridato all’inconfutabile dimostrazione della
voglia di comunismo diffusa tra le masse? Anche quelli di noi che sono sempre
stati contrari alla partecipazione dei comunisti alle elezioni avrebbero
comunque esultato, indicando in milioni di voti ai comunisti una palese e
sacrosanta (per quanto ancora ingenua) dimostrazione delle masse di voler
abbattere la borghesia.
La realtà si
incarica di dimostrarci in mille modi che la nostra debolezza ha un carattere
fortemente soggettivo a cui dobbiamo mettere mano.
Non è facile
trovare la via per risolvere la nostra debolezza. Ma perché poi questa lotta
dovrebbe essere facile, quando tutte le lotte che conduciamo sono difficili?
Indubbiamente per ogni componente del movimento comunista è più facile
sopravvivere che crescere e questo atteggiamento (accontentarsi della
sopravvivenza) è quello che oggi predomina nel movimento comunista.
Le componenti
del movimento comunista soffrono tutte, chi più chi meno, di settarismo. Alcune
manifestano apertamente l’insofferenza per esso, altre no. Sono due tendenze,
una delle quali rappresenta la spinta a superare il problema. Quelle che non si
pongono il problema favoriscono il suo permanere, quelle che se lo pongono
favoriscono il suo superamento. E questa lotta esiste anche all’interno di ogni
componente e pure all’interno di ogni compagno. Quando affrontiamo il problema
andiamo nella direzione del suo superamento, quando lo ignoriamo o lo
sottovalutiamo andiamo nella direzione opposta.
Voglio
introdurre un esempio a mio avviso significativo dell’atteggiamento settario
della maggior parte di noi. Un’organizzazione comunista che non ha basi a
Taranto e che vuole intervenire sulla lotta dell’ILVA, solitamente che fa?
Manda qualche compagno a contattare direttamente gli operai dell’ILVA. Non
capita praticamente mai che vengano contattate le organizzazioni che hanno già
stabilito un rapporto con questi operai, in questo caso, ad esempio, i compagni
di Proletari Comunisti. Eppure i compagni di ProlCom hanno indubbiamente
un’esperienza accumulata in anni di lavoro in zona. Anche se l’organizzazione
“esterna” (che non ha compagni a Taranto) ritiene che i compagni di ProlCom
abbiano deviazioni “gravissime” in materia di intervento sulla classe operaia,
queste deviazioni difficilmente saranno peggiori di quelle espresse, ad
esempio, dalla FIOM o, peggio ancora, da altri rappresentanti dei sindacati di
regime con i quali indubbiamente l’organizzazione “esterna” si troverebbe ad
aver a che fare di primo acchito. In secondo luogo, anche gli stessi operai
dell’ILVA vedrebbero di buon grado l’unità di intervento da parte di diverse
organizzazioni comuniste e farebbero fatica a comprendere l’atteggiamento
compartimentato.
Alla stessa
stregua possiamo valutare esempi riguardanti la Strage di Viareggio del
2009 e la mobilitazione del relativo Comitato 29 giugno, situazione nella quale
i compagni di Lotta e Unità hanno indubbiamente accumulato una lunga e profonda
esperienza e conoscenza. Così pure per quanto riguarda la mobilitazione dei
disoccupati di Napoli o degli LSU, in questo caso i Comitati di Appoggio alla
Resistenza – per il Comunismo (CARC), o magari l’OCI avranno più esperienza di
altri sul campo. Ciascuna organizzazione può trovare da sé gli esempi adatti al
caso.
Che fare?
Nota 27
[Poniamo che sia
il P-CARC di andare a chiedere informazioni a Proletari Comunisti se va a
Taranto o a Lotta e Unità se va a Viareggio. Il collettivo Aurora non tiene
conto di due fattori, uno pratico e uno teorico.
Quello pratico
sta nel fatto che sia i tarantini che i viareggini tengono le distanze rispetto
al P-CARC. Rammentiamo che ai viareggini fu proposta cooperazione appena
conclusa la Prima Lotta
Ideologica Attiva, cosa che li stupì moltissimo, perché loro, praticando il
metodo da “gruppo di amici”, ritenevano e ancora ritengono che dopo la
separazione sul piano organizzativo amici più non si era, il che comportava il
non rivolgersi la parola.
Quello teorico
sta nel fatto che con i due soggetti nominati, così come con altri, la
questione non sta tanto nel mettere a disposizione informazioni, ma nel portare
avanti il dibattito franco e aperto, cosa tentata più volte da parte della
carovana del nuovo PCI nei confronti di Proletari Comunisti e non solo, ma
senza mai avere avuto risposta.
Quanto al
chiedere informazioni, la difficoltà ad averne sta nella concezione
concorrenziale dell’agire politico, per cui si sta in campo come si sta al
mercato, e ognuno cerca di accaparrarsi terreno e clienti a scapito degli
altri, per cui la disponibilità a dare informazioni è minima o inesistente.]
(Noi
ne teniamo ben conto: infatti la proposta serve a capire che l’attuale
situazione del movimento comunista nel nostro paese è una cosa che fa ridere
(ma dovrebbe far piangere) gli operai. È un problema nostro come movimento
comunista organizzato, non un problema del solo P-CARC (il P-CARC si comporta
poi veramente in maniera diversa?). Chi vuole compiere i primi passi per
superarlo? Noi siamo disponibili.)
Gran parte dei
membri di ogni componente del movimento comunista ha un’esperienza lunga fatta
di confronto, scontro, collaborazione, lotta con diverse organizzazioni del
movimento comunista. Non c’è dubbio che il lavoro degli anni passati di tanti
compagni è una ricca fonte di insegnamenti utili a trattare il problema del
rapporto tra componenti del movimento comunista al fine di superare la loro
frammentazione.
Sicuramente
tanti compagni che stanno ora leggendo questo testo diranno che di tentativi di
unificazione, riaggregazione, ecc. se ne sono fatti a centinaia e che “non ci
si cava un ragno dal buco”. Possibile che tutto quello che oggi abbiamo da dire
è che “non ci si cava un ragno dal buco”?
Con lo stesso
criterio potremmo allora dire che nemmeno tra la classe operaia e le masse
popolari si cava un ragno dal buco nel tentativo di reclutarle nel lavoro dei
comunisti. Certo, direte, la classe operaia e le masse popolari sono più
importanti delle altre organizzazioni del movimento comunista! Perché?
Il nostro
movimento comunista è forse composto da borghesi e piccolo borghesi con cui non
vale la pena perdere tempo? Non siamo forse per la maggior parte provenienti
dal proletariato? Non siamo forse, in quanto militanti in questa o quella
organizzazione, i soggetti più interessanti proprio perché già avanzati sulla
scelta della militanza, del dedicare una parte o tutta la nostra vita alla
lotta per il comunismo?
Dobbiamo
smetterla di sentire la puzza sotto il naso e iniziare seriamente a dedicare
risorse ed energie alla ricerca di una via per unire i comunisti, sì proprio
quelli che si dichiarano tali, proprio a partire anche solo da questa loro
dichiarazione. Di fatto chiunque oggi dichiari che la sua linea è la linea
giusta vale meno di
quello che dichiara di non averla ancora trovata, stante gli ancora
insignificanti risultati qualitativi e quantitativi raggiunti. Ma per quanto
valga meno, è comunque un interlocutore con cui dobbiamo sforzarci di stabilire
un rapporto.
Nota 28
[Dire che chi
dichiara di avere trovato una linea giusta “vale meno” di chi dichiara di non
averla trovata, perché i fatti ancora non gli danno conferma, è come dire che
nel Cinquecento chi diceva che la terra si muoveva siccome la sua teoria non
era stata confermata valeva meno di chi al riguardo non diceva niente.
Il motivo per
cui prendiamo sul serio un appello come quello qui lanciato, e analizziamo con
interesse, accuratezza e pazienza posizioni politiche che abbiamo già esaminato
molte volte, è che abbiamo una linea con cui confrontarle, e che in questo
confronto la linea che noi apertamente dichiariamo giusta è sottoposta a
sperimentazione, perché nessuna verità è assoluta. Né è assoluta l’assenza di
linea in chi dichiara di “dubitare di tutto”. Mao dichiara che “dubitare è
lecito, dubitare di tutto non è lecito”. Da un lato quindi non è lecito, e
dall’altro non è possibile: secondo Gramsci, ogni uomo ha una sua “filosofia”.
Secondo queste premesse, quindi, chi dichiara di non avere una linea o agisce secondo una linea di cui non
ha conoscenza, e quindi è passivo, o ha una linea che non dichiara apertamente.]
(Anche
qui bisogna sforzarsi di capire, e ci scusiamo se non siamo stati abbastanza
espliciti: quel “vale meno” è riferito al fatto che, a nostro avviso, oggi
bisogna cominciare a riconoscere che qualcosa nelle nostre concezioni e nei
nostri metodi non funziona perché non porta ai risultati sperati. Il nostro non
è un appello apologia dell’ignoranza e del navigare a cazzo, ma a fare un passo
avanti per il superamento di concezioni e soprattutto metodi che non portano a
risultati seri.)
Dobbiamo quindi
studiare, confrontarci e definire un lavoro di lunga durata (una campagna,
chiamiamola come ci pare) fatta sostanzialmente di incontri, confronti,
proposte, tentativi di attività comuni, bilanci comuni, ecc. da cui individuare
i canali di unione possibile. Non importa quanto doppio gioco verrà fuori sul
campo del confronto. Ci saranno coloro che sono disponibili perché pensano di
andare a pesca di militanti. Che importa! A volte anche noi stessi tenderemo a
fare altrettanto. È nella natura delle attuali componenti del movimento
comunista e noi non ne siamo immuni.
Lancio questo
appello a tutti quei compagni che non si accontentano della situazione attuale
del movimento comunista, che non sono pienamente soddisfatti dei risultati da
esso complessivamente raggiunti e che riconoscono che la forza dei comunisti
non è solo nelle idee, ma soprattutto nella pratica, da cui le idee si
forgiano.
Potrei tentare
di dilungarmi nel tentativo di ipotizzare i dettagli di un possibile inizio di
lavoro comune. Ma ritengo che al momento l’appello a cercare di costruirlo,
questo lavoro comune, sia quello che realmente serve. La testa di tutti coloro
che sono realmente disposti a raccoglierlo o che riconoscono che questo appello
è semplicemente espressione di una volontà più volte espressa anche da altri
compagni e organizzazioni è una testa sufficientemente capace di dare risposte
concrete al problema organizzativo. Il resto verrà sulla base dei primi passi
compiuti.
Si tratti di una
serie di incontri, assemblee, scambi di documenti, dibattiti aperti anche ai
non organizzati, quello che si vuole: non nascondiamoci dietro la forma. Molti
di noi sono abbastanza navigati per trovare la soluzione pratica più idonea, se
c’è la volontà.
Nota 29
[Il collettivo Aurora aspira a unire le forze
comuniste per somma, e le pone come poli di pari forza, che se così fosse le
cose non cambierebbero mai. Perciò dice che la teoria è importante ma lo è
anche la pratica, che talvolta ci si unisce e talaltra ci si divide, e così
via. L’unità dei comunisti dipende anche da loro, cioè dipende da quale
posizione prenderanno. Si tratta di indicare loro che non devono prendere la
“posizione del P-CARC” oppure la “posizione della Rete dei Comunisti”, ma la
posizione che scoprono giusta, indipendentemente dal fatto che l’abbia scoperta
l’uno o l’altro. L’importante è sapere se la terra gira o no, non se dobbiamo
stare dalla parte di Galileo o del santo Uffizio.
Al di là della
divergenza di opinioni, l’appello a unire le forze è positivo e quindi lo
raccogliamo. L’esame di questi testi è testimonianza dell’interesse che abbiamo
nella proposta. Invitiamo quindi in
primis i promotori dell’appello a procedere, e a contattarci per
approfondire la questione]
[1] Con ruolo
rivoluzionario intendiamo sinteticamente il ruolo di influenza e di direzione
sulle masse basato su un concreto e stretto legame del partito con esse e volto
alla loro mobilitazione per l’abbattimento dell’ordinamento sociale esistente e
la costruzione di un nuovo ordinamento sociale. L’attuale ordinamento sociale è
basato sullo sfruttamento del lavoro salariato (sullo sfruttamento della
stragrande maggioranza della popolazione) per l’interesse della classe che
detiene la proprietà dei principali mezzi di produzione (la borghesia) e a
scapito degli interessi delle masse. Il nuovo ordinamento sociale superiore è
il comunismo: “dopo che è scomparsa la subordinazione asservitrice degli
individui alla divisione del lavoro, e quindi anche il contrasto fra lavoro
intellettuale e fisico; dopo che il lavoro non è divenuto soltanto mezzo di
vita, ma anche il primo bisogno della vita; dopo che con lo sviluppo
onnilaterale degli individui sono cresciute anche le forze produttive e tutte
le sorgenti della ricchezza collettiva scorrono in tutta la loro pienezza, solo
allora l’angusto orizzonte giuridico borghese può essere superato, e la società
può scrivere sulle sue bandiere: Ognuno secondo le sue capacità; a ognuno
secondo i suoi bisogni!” – K. Marx – F. Engels, Opere scelte, Editori Riuniti,
Roma, 1962, pag. 962
Alcune considerazioni generali sul processo
di ricostruzione del partito
Nella nota 45
(tratta più avanti all’interno del documento del (n)PCI pubblicato sul blog Quale partito comunista?) il compagno
Babini afferma “Che la linea sia principale e che l’organizzazione segua ad
esse è questione su cui il collettivo Aurora non concorda. Ecco una prima
questione da affrontare, nel dibattito che il collettivo propone di avviare.”
Noi del
Collettivo Aurora concordiamo sul fatto che il partito comunista non può essere
fondato per mezzo di una fusione
organizzativa a cui seguirebbe poi la
definizione ideologica. Se è questo che si ricava dal nostro documento, non era
nostra intenzione e quindi vuol dire che lo abbiamo scritto male. Vediamo di
precisare meglio, dando risposta anche alle conclusioni della nota 40 (che per
comodità riportiamo in fondo).
Bisogna fare
una premessa: dobbiamo evitare lo schematismo, un prodotto del dogmatismo. I
principi che hanno funzionato in passato in una determinata situazione non è
detto che valgano oggi in un contesto differente. È eclettismo? No. Si tratta
di applicare il materialismo dialettico alla situazione concreta. La classe
operaia deve condurre l’attacco contro la borghesia, se la classe operaia non
attacca la borghesia, non riuscirà mai a vincere la borghesia perché la sola
difesa non crea di per sé le condizioni della vittoria, anche se è
indispensabile per la classe operaia sapersi difendere dagli attacchi della
borghesia. Se la classe operaia lascia in pace la borghesia si troverà
progressivamente costretta ad arretrare e a perdere anche quanto già
conquistato. Questa è una legge generale della lotta di classe, fa parte della
strategia che la classe operaia deve adottare per condurre efficacemente la sua
lotta per l’emancipazione dell’intera società. Questa legge non impedisce che
in determinate situazioni la classe operaia debba assumere principalmente una
posizione difensiva.
Strategia e
tattica, linea e organizzazione, divisione e unità sono poli di contraddizioni
che si sviluppano secondo i principi del Materialismo Dialettico: ognuno dei
due poli in una determinata fase dello sviluppo del processo può passare da
secondario a principale e viceversa. Affermazioni come “bisogna sempre essere
all’attacco”, “viene sempre prima la linea e poi l’organizzazione”, “bisogna
sempre prima dividersi per poi unirsi” sono affermazioni dogmatiche: il
Materialismo Dialettico non insegna questo. Non insegna nemmeno che i processi
sono meramente uno sviluppo sequenziale, un processo in cui c’è banalmente il
prima e il dopo: prima si attacca e poi ci si difende, prima si definisce la
linea e poi si costruisce l’organizzazione, prima ci si divide e poi ci si
unisce. Questo è meccanicismo e, in fin dei conti, metafisica!
Il Materialismo
Dialettico ci insegna invece che i poli di una contraddizione esistono sempre
contemporaneamente nel fenomeno e si influenzano a vicenda: nella guerra esiste
sempre l’attacco e la difesa ma, a seconda delle circostanze, dei fattori
interni ed esterni al fenomeno guerra, l’attacco può essere l’aspetto
principale e la difesa quello secondario e viceversa. In certi casi per poter
attaccare con efficacia una roccaforte nemica bisogna evitare ad ogni costo,
pur nel condurre l’attacco, di perdere determinate risorse (uomini, mezzi,
armi, postazioni, ecc.) che vanno difese,
appunto, ad ogni costo, anche a costo di rinunciare all’operazione di attacco,
altrimenti lo stesso procedere dell’attacco si trasforma in una disfatta.
Il processo di
costruzione del partito è un fenomeno caratterizzato anche dalla contraddizione
linea/organizzazione. Senza una linea non è possibile costruire
l’organizzazione a meno che per organizzazione non si intenda in realtà un
gruppo di amici. Così come senza organizzazione la linea non è altro che aria
fritta buona per i salotti borghesi. Un gruppo di compagni può essere convinto
di possedere una buona concezione da cui ricava una giusta linea (chiamiamo
impianto ideologico questo insieme: il termine è a nostro avviso adatto a
indicare che nella teoria è inclusa anche la concezione dell’organizzazione), ma se non costruisce
un’organizzazione che va oltre il suo essere un gruppo di compagni, il suo
impianto ideologico non è altro che aria fritta buona per i salotti borghesi.
La teoria non viene prima
dell’organizzazione: è parte di essa. Un gruppo di compagni è già
organizzazione con il suo impianto ideologico. Questo impianto ideologico sarà
per forza di cose il riflesso dell’esperienza pratica che il gruppo di compagni
vive, non potrà mai essere il riflesso dell’esperienza pratica di un vero
partito comunista che dirige le masse (non le larghe masse, anche solo le masse
ristrette che per forza di cose all’inizio non possono essere che tali.)
Se l’impianto
ideologico del gruppo di compagni è adeguato alla situazione concreta e se il
livello organizzativo di questo gruppo è adeguato a condurre esperienze
pratiche di applicazione della sua teoria, allora il gruppo crescerà (se la crescita è nei suoi obiettivi!) e
passerà ad un livello organizzativo superiore a cui corrisponderà (o dovrà corrispondere)
un impianto ideologico superiore perché
le condizioni concrete spingono a che questo impianto ideologico si adegui alla
nuova situazione. Se il gruppo di compagni si dedica sempre e
principalmente all’elaborazione teorica e non cresce organizzativamente (numero
di militanti, livelli di direzione, intermedi e di base, strumenti, rapporto
con le masse, ecc.) allora significa che qualcosa non funziona e che
ideologicamente quel gruppo non sta tenendo conto delle leggi di sviluppo che
il Materialismo Dialettico ci indica.
Cade proprio a
fagiolo la citazione di Gramsci fatta dal compagno Babini nella nota 40,
laddove Gramsci afferma che “Il problema generale politico, inerente
all'assistenza e allo sviluppo del partito non era visto nel senso di una
attività per la quale il partito dovesse tendere a conquistare le più larghe
masse e ad organizzare le forze sociali necessarie per sconfiggere la borghesia
e conquistare il potere, ma era visto come il problema della esistenza
stessa del partito.”. Qui giustamente Gramsci, indicando un limite nel processo
di ricostruzione, non distingue né temporalmente né ideologicamente (cioè fanno
parte dello stesso problema) la ricostruzione del partito dopo la scissione
dallo sviluppo del rapporto di questo con le larghe masse. Il PCd’I si trovò
quindi impreparato a far fronte alla situazione non solo perché non aveva una
giusta concezione, ma anche perché (anche a causa di una concezione errata del
proprio ruolo, non operò per lo sviluppo del rapporto con le masse. Si occupò
cioè soprattutto di se stesso, del suo interno. Non è forse il processo in
corso in molte delle attuali componenti del movimento comunista (P-CARC
compreso)?
Inoltre, nel
brano citato Gramsci illustra i problemi che hanno impedito al PCd’I (alla sua
direzione) di approfondire le questioni di concezione e di linea, afferma sì
che si sono occupati principalmente di organizzazione anche per ragioni
ideologiche, ma non afferma affatto che avrebbero dovuto prima occuparsi della linea e poi
dell’organizzazione.
Oggi comunque parrebbe,
stando alle dichiarazioni di noi tutti, che nessuno sottovaluti l’importanza
del rapporto con le masse. Bene, è un passo avanti. Ma se questo non si traduce
in pratica allora siamo sempre all’aria fritta!
Le soluzioni
organizzative comportano sempre dei rischi. È inevitabile. Si tratta di capire quale livello organizzativo possiamo
oggi costruire tra le forze in campo del movimento comunista stante il fatto
che queste forze hanno tra loro divergenze ideologiche. Non dobbiamo unirci
tanto per farlo, ma perché la situazione lo richiede, gli operai lo richiedono.
A nostro avviso, ripetiamo, alcune divergenze non sono dirimenti, altre sì. In
questo dibattito dobbiamo entrare nel merito non solo per precisare che cosa
intendiamo noi, ad esempio, per crisi generale per sovrapproduzione di
capitale, ma anche quali aspetti pratici comporta il fatto che noi abbiamo
sulla crisi questa concezione e quell’altra organizzazione ne ha una
differente. Fare un passo avanti.
Nota 40
[Gramsci scrive:
“Il nostro partito è nato
nel gennaio 1921, cioè nel momento più critico sia della crisi generale della
borghesia italiana, sia della crisi del movimento operaio. Ma la scissione, se
era storicamente necessaria ed inevitabile, trovava però le grandi masse
impreparate e riluttanti. In tale situazione l'organizzazione materiale del
nuovo partito trovava le condizioni più difficili. Avvenne perciò che il lavoro
puramente organizzativo, data la difficoltà delle condizioni in cui doveva
svolgersi, assorbì le energie creatrici del partito in modo quasi completo.
I problemi politici che si
ponevano, per la decomposizione da una parte del personale dei vecchi gruppi
dirigenti borghesi, dall'altra per un processo analogo del movimento operaio,
non poterono essere approfonditi sufficientemente. Tutta la linea politica del
partito negli anni immediatamente successivi alla scissione fu in primo luogo
condizionata da questa necessità: di mantenere strette le file del partito,
aggredito fisicamente dalla offensiva fascista da una parte, e dai miasmi
cadaverici della decomposizione socialista dall'altra.
Era naturale che in tali
condizioni si sviluppassero nell'interno del nostro partito sentimenti e stati
d'animo di carattere corporativo e settario. Il problema generale politico,
inerente all'assistenza e allo sviluppo del partito non era visto nel senso di
una attività per la quale il partito dovesse tendere a conquistare le più
larghe masse e ad organizzare le forze sociali necessarie per sconfiggere la
borghesia e conquistare il potere, ma era visto come il problema della
esistenza stessa del partito.” (A. Gramsci, La
costruzione del partito comunista, Einaudi, 1978, p. 89 in http://www.marxists.org/italiano/gramsci/26/02-partito.htm)
I problemi politici e
ideologici verranno affrontati di seguito: la lotta tra due linee si imporrà
per necessità. Il primo partito comunista quindi si costituisce non “per” fare
la rivoluzione, ma “contro” la deriva del PSI, e su spinta della Rivoluzione
d’Ottobre, quindi su spinta esterna. Per fare la rivoluzione avrebbe avuto
necessità di una concezione adeguata, e quindi i nuovi comunisti avrebbero
dovuto studiare, come aveva raccomandato di fare Lenin dicendo che non dovevano
copiare l’esperienza russa. Attorno a quella concezione le masse si sarebbero
aggregate, sulla base di quella concezione si sarebbero elevate.
Questa nota intende
sottolineare il rischio di “cercare soluzioni organizzative quando i problemi
di fondo sono ideologici”, presente in questo appello per unire le forze
comuniste. Non ci si unisce solo perché “ci dobbiamo unire”, e per farlo non
basta una buona volontà e “mettere da parte del divergenze”. Le divergenze
invece vanno poste apertamente, il che non impedisce unità d’azione. Non si
costruisce, tuttavia, un partito mettendo da parte le divergenze, che non sono
astrazioni, ma questioni concrete per cui avanzare su una linea anziché su
un’altra comporta tutti i rischi che un rivoluzionario e chi lo segue corre,
rischi concreti, che riguardano la nostra incolumità e la nostra libertà. Basti
considerare, al riguardo, le divergenze sulla questione della clandestinità.]
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