Elenco degli organismi di cui sono pubblicati documenti sul blog


Rete dei Comunisti
Partito Comunista Italiano marxista-leninista - Piattaforma Comunista
Collettivo Aurora
Lotta e Unità
Comitati di Appoggio alla Resistenza per il Comunismo (CARC)
(nuovo) Partito Comunista Italiano
Riscossa Proletaria per il comunismo
Fronte Popolare
Laboratorio Comunista Casamatta


Se volete inserire un documento come nuovo post e/o essere inseriti nella lista degli organismi, contattateci con una mail: unioneforzecomuniste@gmail.com, o con il modulo di contatto a fondo pagina.

venerdì 6 settembre 2019


06.09.2019

A proposito del centralismo democratico e della lotta tra le due linee
Ancora sul fallimento del rafforzamento del centro clandestino del (n)PCI

Un’idea al suo sorgere non è mai fatta propria dalla maggioranza. Affinché un numero crescente di individui faccia propria un’idea è necessario che essa si dimostri utile nella pratica (in senso più ampio, cioè è esperienza pratica anche un’emozione che deriva dall’ascolto di una musica, dalla vista di un film, dall’assaggio di un frutto). Se quell’idea corrisponde all’esperienza concreta allora gli individui la fanno propria.
Per quello che riguarda noi, cioè il movimento comunista, un’idea giusta non lo è banalmente perché logicamente non fa una piega. Un’idea giusta è quella che se applicata porta ad un avanzamento nella lotta della classe operaia contro la borghesia.
Ognuno di voi può tirare fuori decine e decine di esempi in cui nel movimento comunista la sinistra, intendendo con essa quella componente che aveva una visione giusta della situazione concreta e che concepiva una via giusta per farvi fronte, si presentava come una minoranza. Storicamente vi sono state minoranze che sono uscite dal partito di cui facevano parte (es. i marxisti-leninisti dal PCI). In queste battaglie a volte la sinistra ha vinto (es. Mao Tse-tung nel corso della guerra contro il Giappone), altre volte ha perso (es. la sinistra nel PCI, e nel PCUS, ecc.).

Anni addietro (nel 2003?) nel PCARC facemmo una campagna di formazione sul materialismo dialettico ed una delle posizioni che venne espressa fu quella che affermava che la maggioranza, in definitiva, aveva sempre ragione (chi ha voglia, se non si fida, vada a cercare i documenti o le registrazioni). E’ una concezione evidentemente sbagliata. Oppure chiariamoci sui termini. Ragione può anche intendersi come averla vinta su, ma a noi interessa intenderla come avere l’idea giusta, cioè più corrispondente al processo di sviluppo della realtà concreta.
La verità è che tutto il partito deve applicare quello che, sulla base delle sue concezioni, la maggioranza ha deciso che si deve fare. Ma questo al di là che le idee della maggioranza siano giuste. Questo principio organizzativo è uno strumento contro l’immobilismo che tiene però conto del fatto che tra due linee non ancora verificate nella pratica è più probabile che quella giusta sia espressa dalla maggioranza. Naturalmente il presupposto fondamentale è che sia applicato il criterio di democrazia che presuppone che tutto il partito, o l’istanza di esso a cui ci si riferisce nel caso concreto, sia realmente messa in condizione di scegliere con cognizione di causa.
La maggioranza può anche avere torto, e in questo caso porta il partito fuori strada. La battaglia per far prevalere le idee giuste non è banalmente una battaglia che si combatte solamente nelle riunioni in cui si decide il da farsi. E’ invece una battaglia che richiede che tutto il partito si faccia carico delle diverse posizioni espresse e che valuti, sulla base dell’esperienza e del suo bilancio, se alcune di esse erano migliori di quelle che hanno determinato la linea applicata. Mao ha ben approfondito questo aspetto tanto che (si veda il n°4 della rivista Il vento dell’est) il PCC affermava che la minoranza doveva essere rappresentata (in quota spettante) anche all’interno degli organismi dirigenti, in modo da permettere un’approfondita analisi del procedere dell’applicazione della linea da tutti i punti di vista e quindi di fare un bilancio serio, onesto, esaustivo dell’esperienza e, quindi, di valutare se non fosse la minoranza ad aver ragione.
Voi direte che con questo metodo non si va da nessuna parte. Dipende dove si vuole andare. Se ragionate come una cosca mafiosa allora la cosa più “pratica” e sbrigativa è far decidere al capo bastone. Se ragionate da comunisti allora dovete tenere conto del processo che porta alla creazione delle idee giuste e delle pratiche conseguenti.
Casi concreti in cui scientemente sia il PCARC che il (n)PCI non hanno applicato questo metodo ve ne sono. Nelle lotte ideologiche che si sono avvicendate un meccanismo tanto odioso quanto subdolo è stato il seguente. Di fronte ad alcuni membri di un organismo dirigente che dissentivano su determinate questioni importanti, il dirigente più alto in carica (si è trattato sempre dello stesso Ulisse) istituiva un altro organismo superiore di cui facevano parte solo i compagni della maggioranza. Cioè estrometteva la minoranza dall’organismo dirigente. Esempio: nella segreteria della direzione nazionale 1 o 2 compagni non concordano con gli altri 3, allora si istituisce (al di fuori di quanto scritto nello statuto) un ufficio politico o un comitato direttivo della segreteria della direzione nazionale e di questo ufficio politico fanno parte solo i 3 compagni della maggioranza. Lo scopo di questo neonato organismo è di dirigere i lavori autonomamente dalla segreteria, compreso il dibattito all’interno della segreteria stessa di cui fanno ancora parte tutti i 5 membri. L’istanza in cui potevano e dovevano combattere le due linee è saltata e il giochino è fatto.
Anche qui potete andarvi a rileggere i documenti che testimoniano quanto affermiamo. Si tenga conto che anche chi qui scrive ha partecipato e contribuito ad attuare questo meccanismo perverso, che nulla ha a che fare con gli insegnamenti da trarre dall’esperienza del movimento comunista, ma semmai con quella della DC o di una setta borghese.
Un altro esempio di diverso tipo si è verificato espressamente nella terza lotta ideologica. [A proposito: quella lotta ideologica è stata prima battezzata tale (vedasi comunicati del 2009) e poi derubricata dalle lotte ideologiche. Perché? Si tenga conto che con essa sono stati espulsi alcuni compagni e se ne sono dimessi molti altri: il PCARC ha perso più di 20 compagni e il (n)PCI almeno una dozzina.] Dicevamo, ad un certo punto nel corso della 3° lotta ideologica il CD, formato appunto escludendo la compagna Lia che era membro della segreteria, impose ai compagni Lia e Walter un’aut-aut: o autocritica o espulsione. In merito all’autocritica ci torneremo dopo. Qui trattiamo di un altro metodo subdolo: nel corso della riunione della Direzione Nazionale in cui si doveva decidere proprio dell’espulsione di due membri della DN stessa, comparve prima un messaggio via email di persona sconosciuta che diceva la sua (naturalmente a sostegno del CD) poi comparve pure una lettera (anch’essa di qualcuno esterno alla DN e anch’essa a sostegno del CD). Cioè due soggetti esterni che i membri della Direzione Nazionale non conoscevano (almeno certo non tutti) intervenivano “mascherati” per influenzare le decisioni dell’organo più importante del PCARC. A noi pare il metodo dei pizzini, non certo dei comunisti!

A pensar male ci si azzecca, ma non traiamo conclusioni affrettate. Supponiamo cioè che questo metodo derivi non da un’idea opportunista di tipo mafioso, ma da una vera e propria convinzione che il metodo sia giusto, proprio cioè di un partito comunista. Se è così: spiegatelo, illustratelo. La lotta ideologica del 1997, quella del 1999 e quella del 2009 lo hanno visto applicato. Perché?


Riportiamo qui un estratto da una lettera della compagna Lia del 2005 indirizzata al segretario del PCARC Pietro Vangeli, che illustra anche meglio i concetti di centralismo democratico e lotta tra le due linee.
[…] All’interno del partito il dibattito si sviluppa tra concezioni e linee influenzate dalla borghesia e concezioni e linee influenzate dal proletariato, tra idee giuste e sbagliate, tra idee nuove e vecchie ecc. ecc. Infatti non tutte le contraddizioni che affrontiamo sono tra loro antagoniste. Ora noi diciamo che al momento della decisione della linea e al momento del bilancio dell’esperienza è giusto che il dibattito sia al massimo sviluppato che ogni compagno ha il diritto e il dovere di dire la sua, e poi ogni compagno e ogni istanza deve rispettare la massima disciplina nella realizzazione. Diciamo anche che la minoranza ha diritto a mantenere le sue riserve pur disciplinandosi. La disciplina della minoranza non è un piacere autoritario dei comunisti, come in qualche modo vanno dicendo i nostri nemici, è una necessità di funzionamento. Solo l’unità, la realizzazione nella teoria e nella pratica di un’azione comune e disciplinata permette la vittoria del proletariato. Ma il dire che la minoranza può mantenere le sue riserve non significa, come anche alcuni nostri compagni credono, che a ogni piè sospinto la minoranza può dire “infatti io non sono d’accordo” “secondo me bisognerebbe” ecc, ma questa frase significa, corrisponde, a mio avviso appunto alla teoria della conoscenza; nel senso che la verità non appartiene alla maggioranza, la verità è il grado di corrispondenza tra ciò che noi pensiamo, elaboriamo e la realtà oggettiva. Quindi la verità, la giustezza di una linea, appartiene, viene confermata solo ed esclusivamente in fase di bilancio quando analizziamo questo grado di corrispondenza. La maggioranza non detiene la verità. Del resto i comunisti dicono la verità ma sono oggi una piccolissima minoranza. Ogni cosa nasce piccola e poi si sviluppa. All’inizio di un processo la sinistra è sempre piccola ed il centro è sempre vasto. Quindi la prova della verità mai e poi mai appartiene alla maggioranza in quanto tale. Si applica ciò che decide la maggioranza perché di due posizioni bisogna sceglierne una e quella della maggioranza è quella da applicare perché 1) sono in di più a essere convinti e quindi a lanciarsi nell’azione con la stessa convinzione, 2) perché il fatto che sia la maggioranza a pensarlo è una garanzia in più che la maggior parte delle energie ha contribuito a elaborare quella data teoria, i numeri danno qualche garanzia in più, e poi perché qualunque minoranza deve conquistare una maggioranza altrimenti la sua verità rimane una verità per pochi. Noi comunisti lavoriamo ogni giorno per conquistare un centro, una maggioranza alla nostra verità, con le nostre parole e la nostra azione, ma forti che le nostre idee sono corrispondenti alla realtà, forti del fatto che le masse sperimentano la giustezza delle nostre parole nella loro esperienza quotidiana. E’ per questo che le conquisteremo.
Comunque e sempre, la verità è verificata nella pratica. Quindi una minoranza può tenere le sue riserve non nel senso sbagliato detto prima, ma solo nel senso che la linea di maggioranza verrà verificata nel bilancio e in quel momento non solo la maggioranza verificherà la giustezza della sua teoria, ma eventualmente la minoranza, se è onesta e non ci sono opportunismi di sorta, dovrà inchinarsi, non alla maggioranza, ma alla verità oggettiva (questo è valido anche nel caso che la linea espressa dalla maggioranza si dovesse rilevare sbagliata e in quel caso sarà la maggioranza a inchinarsi alla realtà). In questo senso è interessante l’articolo sulla Voce 18 pag. 15-17.
Anche una o due persone possono aprire il varco a teorie giuste e dovranno lottare un passo alla volta perché la loro teoria pian piano conquisti la maggioranza e lo faranno attraverso la ricerca della verità nella realtà oggettiva. Lenin è stato minoranza. Tutte le verità, tutte le teorie giuste, alla loro nascita sono state minoranza.
Avere rispetto della minoranza non è né un aspetto di formale democrazia, né una gentilezza moralistica verso chi “è diverso da te”, concetti tipici della sinistra borghese, il rispetto della minoranza è la comprensione di come avviene un processo di conoscenza e quindi il comprendere che la minoranza probabilmente esprime comunque una parte di verità e potrebbe esprimere anche tutta la verità che ancora non è chiara ad altri. I comunisti, ripeto, sono l’esempio lampante di questo. E siccome ai comunisti interessa la verità devono tenere presente questi concetti nel loro dibattito interno. Quindi rintuzzare continuamente, come spesso a mio parere tu fai e comunque come hai fatto durante il CD, chi ha espresso posizioni di minoranza come arretrato e addirittura appioppargli tesi che non ha mai espresso (come quelle su di me e il secondo fronte) è indebolire il dibattito interno, non spinge i compagni ad esprimersi, non alimenta il dibattito tra il giusto e lo sbagliato, tra il vecchio e il nuovo.
Tu mai mi hai sentito dire, dopo la DNS, che non dovremmo chiamarci partito, ad esempio. Su questo avresti tutti i diritti di rintuzzarmi, ma mai per ciò che ho espresso. Non solo, credo di stare dedicando tutte le mie energie perché il passaggio dei CARC a partito riesca al meglio e comunque e in qualunque caso mi sta a cuore che riesca al meglio. Io credo che tutti i compagni che nel momento giusto, nelle istanze giuste si sforzino di portare il proprio contributo sono lodevoli e arricchiscono l’organizzazione e noi come dirigenti dobbiamo spronarli in questo senso..
Io ti ho “rinfacciato” le posizioni sbagliate da te prese non perché tu o altri con te facciano pubblica ammenda; ma per dire come la maggioranza può sbagliare, per dire che allora io, quindi un unico compagno, avevo detto una cosa giusta (quindi una minoranza che in quel momento ha espresso una posizione più giusta e avanzata di una maggioranza) e che nel tempo si è rilevata la più avanzata e che a mio avviso allora non è stata presa in nessuna considerazione per superficialità. (Si è cambiato idea perché qualcun altro più qualificato ha espresso delle posizioni e non per un dibattito che poteva portare anche a quelle giuste conclusioni). Non bisogna essere superficiali. La minoranza va sempre ascoltata con attenzione. La minoranza va sempre rispettata, (nel senso espresso sopra). Questi sono i motivi per cui mi infastidisco quando vengo rintuzzata per le posizioni da me espresse e che in quel momento non corrispondono alla visione della maggioranza. Non ho in genere problemi a disciplinarmi, non ho in genere problemi ad ammettere di aver sbagliato, ma voglio continuare a esprimere i miei punti di vista con lo scopo di contribuire ad un dibattito che sia sempre il più ricco possibile. Siamo tra le menti migliori che abbiamo e quindi dobbiamo sforzarle al massimo. Non miro a un’organizzazione che abbia sempre una maggioranza compatta. In genere è indice di superficialità, di quella stessa superficialità cui accennavo prima e che ci stava facendo commettere degli errori importanti. Vorrei un’organizzazione che sappia formare la maggioranza elevando il dibattito, portandolo ad un livello sempre più alto. (La maggioranza si compone e si scompone e si riforma nuovamente). La disciplina ci permette l’unità e quindi ci permette il confronto. Il collettivo disciplinato è una forza, ma deve essere un collettivo, dove ogni individuo si esprime al meglio e trova la sua forza nella compattezza del collettivo stesso.
Vorrei che queste mie osservazioni le leggessero anche i compagni del CD, in particolare i due compagni che hanno partecipato alla nostra discussione.
Un abbraccio.
Lia

ex membri della carovana

Nessun commento:

Posta un commento