[Tratto da Resistenza n° 11-12 del 2013]
Da più parti e sempre più spesso si sente invocare “l’unità dei
comunisti” in un unico partito. Sono tanti i compagni e le compagne che hanno
subito la disfatta e la dissoluzione dei partiti della sinistra borghese e che
ora cercano riscatto, però nella maggior parte dei casi in maniera velleitaria
e idealista. Cosa che porta allo scoraggiamento e, se non alla rassegnazione,
almeno al pessimismo.
La verità è che di partiti comunisti (o meglio sedicenti tali), nel
nostro paese, ce ne sono tanti e si susseguono pure i tentativi di costruire un
“nuovo soggetto politico” che raccolga la diaspora dei loro militanti in nome,
appunto, dell’unità.
Con questo articolo puntiamo a definire i criteri e gli ambiti su cui
occorre cercare “l’unità dei comunisti” affinché ogni lettore possa trarre una
conclusione utile e trovare lo stimolo e la determinazione per assumere un
ruolo attivo e positivo nella rinascita del movimento comunista.
Siamo anche spinti, in questo senso, ad affrontare le critiche che ci
vengono mosse di non essere capaci di mostrare nella nostra propaganda (cioè di
far conoscere e valorizzare) la ricca attività delle sezioni, delle compagne e
dei compagni di base. Questo limite, che esiste, è la combinazione di due
aspetti: il primo è la difficoltà ad elaborare le esperienze concrete, magari
anche piccole e circoscritte, in strumento di propaganda (che non è solo “far
conoscere l’attività”, ma ricavarne criteri e principi generali, mettere in
comune conoscenze, esperienze e strumenti), il secondo è che siamo pochi.
Ossia: l’attività complessiva è talmente ricca e articolata che per elaborarla
e tradurla in “materiale di propaganda” occorrono capacità e organizzazione che
non abbiamo ancora. Facciamo fronte a questi limiti puntando sulla formazione
di compagne e compagni che siano sempre più e sempre meglio all’altezza dei compiti
e sull’allargamento delle nostre fila, sulla raccolta dell’attivismo, del
contributo, delle capacità di tanti altri compagne e compagni che oggi sono
“liberi battitori” o “cani sciolti”.
Unità sulla concezione del mondo, la strategia e la linea per fare
dell’Italia un nuovo paese socialista.
Quando qualcuno ci chiede perché non aderiamo a nessuna delle
costituenti che si sono create e che si creano per l’unità dei comunisti,
rispondiamo che prima di tutto bisogna vedere quali sono le basi su cui poggia
questa unità.
A differenza di Ross@, CSP, Sinistra anticapitalista, ecc., l’area
politica della Carovana del (n)PCI a cui appartiene anche il P.CARC fa propria
l’esperienza del movimento comunista (sintetizzata nel
marxismo-leninismo-maoismo). La usa non come un dogma o una fede da professare
o un ideale a cui restare fedeli, ma come metodo per comprendere la realtà e
come guida della lotta politica e sociale per trasformare la realtà, per
portare le masse popolari dalla situazione in cui sono oggi a compiere passo
dopo passo il percorso che le porterà a rafforzare il nuovo potere fino a
invertire i rapporti di forza rispetto ai centri di potere della borghesia
imperialista e a instaurare il socialismo.
A differenza dei firmatari dei tre documenti congressuali del PRC, noi
non partiamo dalla dissoluzione del vecchio PCI o dalla disfatta elettorale del
2008 e la “crisi della sinistra”. Siamo partiti dal perché il vecchio PCI e gli
altri partiti comunisti non hanno instaurato il socialismo nei paesi imperialisti
durante la prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale, dal perché i
primi paesi socialisti (dopo un iniziale periodo di grandi conquiste) hanno
perso vigore e sono decaduti fino a crollare o a cambiare colore, dal perché i
revisionisti moderni sono riusciti a prendere la direzione del movimento
comunista e a portarlo fuori strada, dal perché la rinascita del movimento
comunista (nell’ambito della nuova crisi generale del capitalismo) procedeva
così lentamente. Da qui siamo partiti per arrivare passo dopo passo a
comprendere le condizioni della lotta di classe (in particolare la crisi
generale del capitalismo che ha origine nella sovrapproduzione assoluta di
capitale, il regime di controrivoluzione preventiva, la situazione
rivoluzionaria in sviluppo), alla strategia per fare la rivoluzione socialista
(guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata e non la “rivoluzione che
scoppia”), alla linea di massa (come metodo principale di lavoro del partito
verso le masse) e alla lotta tra due linee nel partito (come metodo principale
per sviluppare il partito e difenderlo dall’influenza della borghesia e del
clero), alla linea del Governo di Blocco Popolare (come tattica per far
avanzare le masse popolari verso l’instaurazione del socialismo partendo dalle
loro condizioni soggettive attuali).
A livello organizzativo, abbiamo iniziato da zero. Non siamo nati come
costola di qualcuno o qualcosa, per scissione, ereditando parti di patrimonio,
di strutture, di iscritti. Nel tempo abbiamo costruito l’organizzazione,
abbiamo aperto sedi e sezioni, abbiamo costruito il Centro del Partito e la sua
periferia, abbiamo condotto la lotta per l’autonomia e l’indipendenza
economica, oltre che politica, dalla borghesia. Abbiamo ideato, prodotto,
realizzato e distribuito materiale di propaganda e testi di studio. E il tutto
è avvenuto combattendo “all’arma bianca” contro una persecuzione poliziesca con
cui per più di 20 anni la borghesia ha cercato di metterci in galera o di
prenderci “per fame” (sequestri di strumenti e materiali, ingenti spese legali,
processi) con procedimenti e inchieste a intermittenza per associazione
sovversiva-terrorismo. Vi abbiamo fatto fronte, abbiamo messo a punto la linea
del “processo di rottura” (trasformarsi da accusati ad accusatori) e della
“lotta su due gambe” (mobilitazione delle masse popolari, la principale, e
intervento nei contrasti e nelle contraddizioni dei gruppi borghesi). E su
questa base adesso affrontiamo i circa
50 procedimenti contro un centinaio di nostri militanti per “reati” legati
all’attività politica (antifascismo, occupazioni, cortei non autorizzati,
scontri… fino anche agli attacchinaggi o alla diffamazione). Non solo “abbiamo
resistito”, ma abbiamo costruito la struttura che siamo oggi e abbiamo posto le
basi per quello che saremo.
Quando parliamo di unità dei comunisti, di che parliamo? Dell’unità dei
gruppetti dirigenti di questa o quell’altra costola fuoriuscita dal PRC?
Dell’unità fra gruppi che si sono perpetrati per decenni cambiando nome e
ragione sociale a ogni cambiamento della direzione del vento? Dell’unità di e
con personaggi che sono stati i protagonisti degli anni “furenti” della
sinistra borghese (fase terminale del PCI e poi PRC o PdCI e via dicendo)? O
dell’unità della base, dei compagni e delle compagne che hanno la bandiera
rossa nel cuore e che aspirano davvero a “un altro mondo, diverso, possibile e
necessario”? Ecco, noi abbiamo l’ambizione prima di tutto di parlare a questi,
di essere per questi un riferimento ideologico e organizzativo. Di essere un
riferimento ideologico e organizzativo per gli elementi avanzati delle masse
popolari.
Ponendoci questi referenti, la nostra ricerca di unità si basa sulla
prospettiva delle cose: dal bilancio dell’esperienza si elaborano la linea, la
strategia e la tattica per la pratica, per il “che fare?”, indicando e
praticando (nei limiti delle forze attuali) la linea giusta. E’ giusta? Il
fatto è che la linea va verificata nella pratica: al bilancio di 20 anni di
esistenza, attività e lotta, la Carovana del (n)PCI è probabilmente l’unica
realtà comunista organizzata che è cresciuta e cresce, che resiste alla repressione, che raggiunge
piccoli ma significativi risultati. E sulla base di questo se ne pone,
apertamente e senza se e ma, di grandi e storici.
La lotta per l’apprendimento, l’assimilazione e l’applicazione della
concezione comunista del mondo. La nostra coesione ideologica si basa sulla
volontà e capacità di assumere una concezione e un atteggiamento scientifico:
per decenni tante compagne e tanti compagni sono stati “formati” alla
concezione borghese, al senso comune, all’atteggiamento superficiale. Nel
migliore dei casi è stata scambiata la conoscenza, il nozionismo, per
formazione: quindi è stato promosso lo studio dei “testi” in modo meccanico e
dogmatico. C’è pieno il paese di compagni e di compagne dotti nelle citazioni
del movimento comunista, ma incapaci di fare analisi concreta della situazione
concreta.
Per noi la formazione è necessaria, ma è una formazione strettamente
legata all’attività pratica, quello che si studia deve essere applicato nella
realtà, il motivo per cui si studia non è quello di “sapere di più”, ma di
trasformarsi, trasformare la propria concezione, la propria mentalità e la
propria personalità, anche, per liberarsi dalla cappa di pigrizia intellettuale
(da una parte) e di dogmatismo (dall’altra) e assumere con autonomia,
creatività e responsabilità un ruolo positivo e d’avanguardia, da comunisti,
nell’orientamento e nella mobilitazione, qui e ora, delle masse popolari del nostro
paese.
Per questo, a ogni livello, promuoviamo percorsi di formazione
individuali e, soprattutto, collettivi, la cui base, per tutti, è il Manifesto
Programma del (n)PCI. Abbiamo iniziato all’interno: dai membri e dai
collaboratori più stretti e stiamo allargando il cerchio verso l’esterno: agli
studenti medi e ai precari (come in Campania), agli studenti-lavoratori (come
in Toscana), agli universitari (come in Lombardia), alle donne (in Toscana)...
Non sempre la formazione alla concezione comunista del mondo che inizia
con lo studio del Manifesto Programma del (n)PCI diventa adesione al P.CARC,
questo è un aspetto particolare di un processo più generale: quello della
costruzione di una nuova leva di compagni che sono tali non solo con il cuore e
i sentimenti, ma iniziano a esserlo anche con la testa, che sono e fanno i
comunisti.
La lotta per l’organizzazione e lo sviluppo della struttura del Partito.
Nella retorica della sinistra borghese, l’adesione di giovani a
un’organizzazione è segnale di salute e prospettiva. La loro è retorica, perché
sia nella base che nel gruppo dirigente si contano più teste bianche che altro.
Noi non siamo un’organizzazione giovanile, ma più del 50% dei nostri membri ha
dai 35 anni in giù. Questo vale anche nei massimi organi dirigenti.
Quanto contano le donne? Tutti dicono che contano tanto, in genere i
consessi in cui questa affermazione viene fatta sono a larga maggioranza, se
non nella totalità, composti da uomini. Il 40% dei nostri membri sono compagne.
Qualcosa meno nei massimi organi dirigenti. Anche per questo dal III Congresso
abbiamo avviato uno specifico lavoro per la costruzione di un settore donne
(niente a che vedere con le “quote rosa”!).
I soldi. Da dove vengono? Siamo convinti che un’organizzazione
comunista, tanto più un partito, debba essere indipendente, oltre che
politicamente, anche economicamente, dalla borghesia. Tutte le volte che ci
riusciamo (non molte per la verità) usufruiamo di fondi e risorse che
solitamente le istituzioni elargiscono agli amici degli amici (e rendiamo
pubblica la cosa, perché anche altre organizzazioni comuniste, democratiche,
popolari ne usufruiscano a loro volta). Ma l’attività economica del Partito ha
basi sue, raccoglie e opera nel campo delle masse popolari e della classe operaia,
ha una sua stabilità e un suo sviluppo legato non alle concessioni dei padroni
e della autorità, ma allo sviluppo della lotta di classe, del movimento
popolare. Il nostro è un partito composto da elementi delle masse popolari:
operai, lavoratori, disoccupati, precari, studenti, pensionati.
Struttura centrale e sezioni locali. In un contesto in cui la parola
“disfatta” caratterizza tutte le strutture dei vecchi partiti della sinistra
borghese (dalla chiusura di Liberazione al licenziamento di funzionari, dalla
svendita del patrimonio di sedi ai debiti per le spese elettorali) e la parola
“sopravvivenza” caratterizza i frammenti in liberà che la diaspora della
sinistra borghese ha prodotto, il P.CARC ha un corpo di rivoluzionari di
professione, consolidato e in sviluppo. Ogni volta che c’è la condizione,
puntiamo a favorire che altri compagni possano dedicarsi a tempo pieno
all’attività politica. A livello locale, ogni sezione è e impara a essere un
centro di mobilitazione e organizzazione delle masse popolari e una scuola per
diventare comunisti: riunioni periodiche, letture collettive di Resistenza,
discussione delle circolari centrali, piani di lavoro (collettivi e
individuali), stesura di rapporti e centralizzazione… un “elaboratore
collettivo” per analizzare la situazione e definire linee di intervento,
attuarle e fare il bilancio dei risultati per rilanciare a un livello
superiore.
Creazione delle condizioni perché le organizzazioni operaie e popolari
formino un loro governo d’emergenza. Probabilmente quello che emerge su
Resistenza di volta in volta sono gli ambiti di intervento principali in cui il
Partito è impegnato, ma sempre o quasi sempre in modo “indiretto”, cioè
partendo dal generale, senza mostrare il legame con l’attività territoriale, capillare
o comunque diretta. Per motivi di spazio, spesso, questa è una necessità che si
combina anche con una scelta, Resistenza è lo strumento “che dà la linea” ai
militanti, affinché possano attuarla e verificarla nella loro pratica
territoriale.
Questo vale, in generale, per gli interventi “sui grandi temi”: lavoro
operaio (la battaglia per difendere i posti di lavoro esistenti e crearne di
nuovi, il percorso “Riaprire le fabbriche” iniziato a Grottaminarda e
proseguito a Firenze, la partecipazione alle tante iniziative ai cancelli delle
fabbriche da Pomigliano a Cassina de Pecchi) e lavoro sindacale (contro
l’espulsione dei sindacalisti combattivi dalla CGIL, il contributo al
rinnovamento del movimento sindacale nella sinistra dei sindacati di regime e nei
sindacati di base); irruzione nella lotta politica borghese (le campagne
elettorali, ma non solo) e lotta per costruire amministrazioni locali di tipo
nuovo; difesa dei beni comuni (attuazione del referendum sull’acqua, lotta alla
devastazione ambientale, dalle discariche in Campania al TAV passando per la
geotermia sull’Amiata); diritto alla casa e riappropriazione degli spazi
sociali; lotta alla repressione e alle prove di fascismo; lotta per il diritto
alla salute pubblica, lotta per lo sport e l’aggregazione popolare (con
l’esperienza del Quartograd). Ma più che “i tanti fronti” di lotta, quello che
conta è l’orientamento con cui puntiamo a condurre ogni lotta: sinergia e
concatenazione per avanzare nel percorso di costruzione della nuova governabilità
delle masse popolari organizzate.
Dalle critiche costruttive a quelle distruttive. Se c’è chi dice che non
siamo capaci di mostrare l’articolata attività del Partito e ci critica perché
“non siamo in grado di valorizzare quanto facciamo”, c’è anche chi si rapporta
a noi principalmente attraverso la denigrazione. Anziché entrare nel merito
delle questioni, di avanzare una critica e proporre un’alternativa alla linea
che indichiamo (cioè promuovere una linea giusta, secondo chi fa la critica,
dato che la nostra è sbagliata), prevale il senso comune, il senso di
sconfitta, la superficialità che la sinistra borghese ha alimentato in tanta
gente che pure si definisce comunista: alle elezioni politiche di febbraio
eravamo “fuori di testa”, “falsi comunisti”, “allocchi al carro di Grillo”; ma
solo pochi mesi prima, nell’ottobre 2011, eravamo “una delle anime dei teppisti
di piazza San Giovanni”, “spaccavetrine”, “black bloc”. Ma siamo stati anche
“fiancheggiatori dei terroristi”, “lo zoccolo duro dell’antifascismo
militante”. Per qualcuno siamo “stalinisti”, “settari”, “dogmatici” e per altri
“socialdemocratici” e “riformisti”. Siamo “gli amichetti di De Magistris e
Pisapia”, siamo “inconsistenti” e “ridicoli”. Ognuno, nel tempo, ha trovato un
suo motivo per affibbiarci una qualche colpa indelebile o un qualche commento
caustico: lo hanno fatto i giornalisti che pendono dalle labbra delle questure,
lo hanno fatto dirigenti e quadri (e anche qualche militante) dei partiti della
sinistra borghese, lo hanno fatto i capetti dei centri sociali, lo hanno fatto
altre organizzazioni politiche che si guardano bene dal mettere la loro linea
alla prova della pratica (e aspettano che la rivoluzione scoppi).
I fatti sono che da 21 anni la
Carovana del (n)PCI avanza controcorrente, affrontando limiti, superandoli,
trasformandosi per realizzare un obiettivo storico, ambizioso e possibile,
costruire il socialismo in Italia, un paese imperialista. Le tante compagne e i
tanti compagni che ancora hanno nelle orecchie gli echi delle denigrazioni e
dei commenti superficiali, li chiamiamo a domandarsi se vale la pena
galleggiare nel senso comune o prendere parte attiva a questo progetto,
contribuire coscientemente a questo obiettivo. L’unità dei comunisti si
costruisce sulle idee giuste, quelle che superano la prova della pratica, che
si rafforzano e che si sviluppano.
Nessun commento:
Posta un commento